Tutti pazzi a Tel Aviv - la recensione della commedia palestinese

07 maggio 2019
3.5 di 5
70

Un film esilarante e intelligente, presentato nella sezione Orizzonti dell'ultimo festival di Venezia, che raccolta la realtà della situazione arabo-israeliana con più efficacia di molti film drammatici.

Tutti pazzi a Tel Aviv - la recensione della commedia palestinese

Cosa può esserci di più trasversale del pubblico di una soap opera? Genere tradizionalmente incentrato su intrighi d'amore e diretto alle casalinghe, scavalca facilmente barriere sociali e culturali, e spesso anche politiche. Il regista e autore di Tutti pazzi a Tel Aviv, Sameh Zoabi, fa ruotare la sua commedia proprio attorno alla realizzazione di una soap palestinese ambientata nel 1967, poco prima della Guerra dei sei giorni, in cui una bella spia, Manal, fingendosi un'ebrea cresciuta in Francia, seduce il generale israeliano Yehuda per strappargh dei segreti militari fondamentali. Si finge innamorata, o lo è davvero? Prodotta e scritta da un anziano che quei tempi li ha vissuti e i cui (alti) modelli cinematografici sono fermi al Mistero del falco, Tel Aviv brucia deve essere un programma militante e schierato, dove è ben chiaro che i buoni – oltre a Manal il suo amante terrorista Marwan – devono vincere e sconfiggere gli occupanti.

Ma, appunto, è una soap e le cose cambiano e rapidamente precipitano quando Salam, il nipote del produttore, un trentenne fallito che vive a Gerusalemme, viene assunto come assistente di produzione e dialect coach per i dialoghi in israeliano e si ritrova improvvisamente promosso a sceneggiatore quando la precedente autrice, adirata per una battuta cambiata, lascia furibonda il set. Dovendo attraversare il posto di blocco per tornare a casa dal lavoro, Salam si imbatte nel comandante israeliano Assi, la cui moglie, guarda un po', è un'appassionata della soap. I due uomini entrano in conflitto, ma l'hummus arabo di cui il comandante è ghiotto e le vicende di Manal e Yehuda diventano terreno di contrattazione.

Da un conflitto durato meno di una settimana, oltre quarant'anni fa, si determinò l'assetto del Medio Oriente, le cui conseguenze perdurano fino a oggi. Saper scherzare con ironia su un tema così drammatico e apparentemente irrisolvibile denota una perfetta padronanza del mezzo da parte dell'autore, che mette in scena attraverso questo meccanismo un film che parla (simile in questo a un altro uscito quest'anno, Torna a casa, Jimi!), di frontiere, territori occupati, antiche inimicizie e di una diversità di vedute tra coloro che a quella guerra parteciparono e quelli che ancora oggi ne subiscono le conseguenze. Passato e presente si confrontano attraverso i personaggi di diverse generazioni, la fiction d'epoca e le vicissitudini contemporanee dei protagonisti.

È spassosa l'idea della collaborazione tra un giovane palestinese che non ha mai scritto una riga in vita sua e si ritrova promossa ad autore e un militare israeliano narcisista. Il fatto che Assi ricatti Salam perché cambi il finale in senso filo-israeliano apre la strada al dubbio e alla ricerca di una via migliore capace magari di produrre, come la Palestina e le fiction americane, accomunate in un acuto dialogo, una storia che continui all'infinito. Zoabi racconta una realtà che conosce benissimo, perché la vive, e può permettersi anche di scherzare sul proprio dolore e perfino sulle bombe, leit-motiv verbale e letterale della soap.

Scritto benissimo e interpretato ancora meglio (bravi tutti, in particolare il perfettamente spaesato Kais Nashif nel ruolo di Salam e l'esilarante Yaniv Biton in quello di Assi), Tutti pazzi a Tel Aviv è un film anche esteticamente pregevole, in cui la storia e la politica sono affrontate attraverso le vicende di una tipica soap mediorientale, con colori molto forti, luci esagerate e una recitazione melodrammatica, in netto contrasto con la realtà quotidiana. Ma perché le cose cambino devono innanzitutto cambiare le persone e chissà che una storia d'amore fittizia tra nemici non possa aprire prospettive inaspettate di pace anche per chi abita in luoghi dove ancora si muore per poter vivere.



  • Saggista traduttrice e critico cinematografico
  • Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità
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