27 aprile 2019 - 19:52

Andrea Capussela:
«Declino italiano? L’antidoto c’è»

Nel nuovo saggio «Declino. Una storia italiana» edito da Luiss University Press
il diplomatico individua negli anni Ottanta le radici della crisi che vive oggi il Paese

di CORRADO STAJANO

Andrea Capussela: «Declino italiano? L’antidoto c’è» Un’immagine dal cortometraggio d’animazione «Les Ventres» del belga Philippe Grammaticopoulos (1970)
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Il futuro degli italiani, i modi per superare la crisi, i mali antichi e presenti del Paese, la politica malata, una classe dirigente precaria, i soldi che mancano, le paure e i sospetti, la speranza e la speranza nella speranza. Sono i temi di un libro insolito, utile per discutere e tentar di capire. L’ha scritto Andrea Capussela, si intitola Declino. Una storia italiana. Lo pubblica la Luiss University Press. L’autore ha lavorato nella diplomazia economica internazionale per conto dell’Unione Europea con incarichi di vertice in Kosovo — su quell’esperienza ha scritto un saggio — e in Moldavia, due difficili teatri del mondo, ma forse lo è di più il Paese su cui si è cimentato ora, l’Italia, con il suo passato anche glorioso, ma non sempre limpido e il suo difficile presente eternamente periclitante.

Capussela, perché ha scelto la parola «declino»? Per la sua cruda analisi delle istituzioni e della società politica italiana che risulta dal suo libro non sarebbe stato più esatto parlare di caduta?
«Penso che Declino sia più adatto a raccontare quel che avviene in Italia perché nell’idea di caduta c’è la nozione di un evento improvviso. Mentre l’Italia sembra soffrire di una malattia cronica che dura almeno da 3-4 decenni».

Il saggio di Andrea Capussela, «Declino. Una storia italiana», con una prefazione di Gianfranco Pasquino, è in uscita presso la casa editrice Luiss University Press (pagine 424, euro 24)
Il saggio di Andrea Capussela, «Declino. Una storia italiana», con una prefazione di Gianfranco Pasquino, è in uscita presso la casa editrice Luiss University Press (pagine 424, euro 24)

Come definirebbe questo libro che ha scritto in inglese per le edizioni della Oxford University Press e che ora ha tradotto in italiano con numerose varianti e aggiunte? È un libro storico-politico? È un’inchiesta economico-finanziaria? È anche uno scavo nell’inconscio più oscuro della società italiana di ieri e di oggi?
«Il mio è un tentativo di legare le dinamiche economiche di lungo periodo con tutta la storia politica del Paese e di inquadrarle in un’interpretazione complessiva. Non ho cercato di scavare nell’inconscio della comunità, ma di raccontare piuttosto i fenomeni che solitamente vengono attribuiti alla cultura o all’inconscio degli italiani».

Perché ha fissato il periodo dell’analisi dagli anni Ottanta del Novecento a oggi?
«In realtà il libro ripercorre la storia unitaria del Paese in quei dettagli che sono stati decisivi. È agli inizi degli anni Ottanta, infatti, che cominciano a radicarsi le cause del declino di oggi».

Nel suo libro colpiscono certe citazioni, epigrafi, riferimenti culturali: Machiavelli, Molière, Leopardi, Braudel, Foucault, Marc Bloch, Gadda, Bobbio, Calvino. In una pagina scrive che l’Italia repubblicana è più simile alla società che il Manzoni descrisse — la Lombardia secentesca del governo spagnolo — di quanto si pensi. È davvero così?
«Se guardiamo alla struttura della società, molti si sorprenderebbero nel vedere le numerose similitudini tra l’Italia di oggi e quella di allora. Quanto alle citazioni mi rendo conto che Machiavelli mi è stato di grande aiuto. Penso ad esempio al suo invito nel Principe ad “andare drieto alla verità effettuale della cosa”».

Quali sono i mali antichi perpetuatisi nel tempo che hanno segnato la nostra società?
«Ne citerei soltanto uno: la riluttanza delle élite del Paese, nelle varie epoche, ad accettare limiti al proprio potere e ad accettare la concorrenza di altre forze sociali, nella sfera economica e in quella politica. Credo che sia questa l’origine della tardiva e timida apertura del sistema politico da un lato e, dall’altro, della persistente distorsione delle nostre istituzioni».

Andrea Capussela (Genova, 1969) ha guidato l’Ufficio affari economici dell’International Civilian Office, la missione internazionale di supervisione del Kosovo ed è stato consigliere del ministro dell’Economia della Moldavia, per conto dell’Ue
Andrea Capussela (Genova, 1969) ha guidato l’Ufficio affari economici dell’International Civilian Office, la missione internazionale di supervisione del Kosovo ed è stato consigliere del ministro dell’Economia della Moldavia, per conto dell’Ue

Le elenco alla rinfusa la catena delle conseguenze di quel male nazionale che anche lei considera sommo: la corruzione — l’Italia è tra i più corrotti Paesi dell’Unione europea. E poi l’ipertrofico debito pubblico, l’evasione fiscale, i poteri criminali che infestano quattro regioni e non solo, l’agire fuorilegge di molti governanti tra cui quattro presidenti del Consiglio, Andreotti, Forlani, Craxi, Berlusconi che hanno avuto gravi problemi con la giustizia. E ancora: l’antiparlamentarismo, l’odio per la politica mai spento, il Sud abbandonato, il distacco tra governanti e governati, la disgregazione assai negativa dei partiti tradizionali, la situazione sociale — 5 milioni di poveri — la carenza della classe dirigente, la Cultura — una ricchezza — ridotta al lumicino. In un momento di crisi acuta, politica, economica, finanziaria, come questo, quali potrebbero essere, secondo lei, i problemi da risolvere con urgenza, nell’ossessivo sentir parlare di crescita, un miraggio, senza mettere mai in moto i meccanismi necessari perché avvenga, senza saper far di conto neppure sul pallottoliere?
«Tutti i fenomeni, i fatti, meglio, ricordati sono a mio avviso cause prossime del nostro declino. In larga misura hanno le loro radici in ciò che nel libro ho chiamato l’equilibrio politico-economico del Paese. È questo equilibrio iniquo e inefficiente che protegge le posizioni di rendita delle élite. Ciò che mi sembra urgente è far sì che i cittadini ne siano veramente a conoscenza. Penso che con il dibattito pubblico, che non c’è, sia possibile. Se questo “equilibrio” non cambierà, difficilmente il tentativo di aggredire quei mali produrrà risultati durevoli».

L’Italia, scrive, non ha ancora completato la transizione da società gerarchica e illiberale a democrazia libera e aperta. È così? Nel Paese esistono anche non poche energie positive. Mancano i ponti, sembra di capire, capaci di collegarle. Non basterebbe una politica normale, fedele alla Costituzione democratica e al suo spirito antifascista per risolvere problemi vecchi e nuovi e vivere civilmente?
«Il fatto che la Costituzione sia stata così spesso violata o trascurata dimostra proprio l’incompletezza della transizione. Sono d’accordo, esistono molte energie positive e mancano i partiti e gli altri corpi intermedi capaci di coordinarle e di organizzarle. Credo però che la gravità del declino spingerà prima o poi quelle energie positive a imporsi».

Il libro vuol far capire il declino di oggi senza dire dell’ammirevole sviluppo civile e materiale che l’ha preceduto. Il miracolo economico, ad esempio, degli ultimi anni Cinquanta e dei primi anni Sessanta, nacque qui. Cos’è successo poi?
«Spero di essere riuscito a spiegare le ragioni per cui il Paese che creò il miracolo economico si è poi seduto. Può sembrare paradossale, ma il miracolo economico ha rappresentato la parte più facile del percorso verso il benessere. L’Italia ha fallito quando lo sviluppo ha cominciato a dipendere soprattutto dall’innovazione. L’innovazione porta con sé distruzione creatrice, la distruzione creatrice minaccia le élite e queste l’hanno soffocata».

Che cosa è accaduto in questi ultimi anni, al di là della crisi economico-finanziaria, dal fatale inutile referendum costituzionale di Matteo Renzi che ha diviso il Paese e ha distrutto la sinistra, alla vittoria di aggregazioni politiche antiparlamentari, carenti di principi? È affiorata, al traino di una visione del mondo quasi ottocentesca, la disumanità, l’arroganza, la cattiveria, l’intolleranza, l’imbarbarimento quotidiano, il crollo di molti codici dei più elementari rapporti civili, la ferocia verso gli altri, i bisognosi, i diversi, comportamenti inimmaginabili come la guerra contro i migranti fatta da un Paese di migranti. Quale può essere il rimedio culturale oltre che politico?
«Condivido questa analisi. Ma ciò che più mi ha colpito dell’anno che ci separa dalle elezioni del 4 marzo 2018 è la continuità: questo governo ha fatto un condono fiscale, un condono edilizio e nessun serio tentativo di migliorare la qualità della spesa pubblica».

Non ha l’impressione che questo sia un momento di pericoloso smarrimento politico e culturale di quello che è stato anche un grande Paese?
«Credo anch’io che questo sia un momento pericoloso, non solo in Italia. L’equilibrio politico-economico sta probabilmente mostrando la corda, ma non è scontato che la discontinuità spinga l’Italia verso l’autoritarismo».

Gianfranco Pasquino nella prefazione a «Declino» scrive che «quest’Italia giallo-verde, nonostante affermazioni in contrario, non nutre speranze e non vuole neppure sentirsi dire che qualsiasi obiettivo di reale cambiamento positivo sarà irrealizzabile senza l’impegno personale e senza il sostegno dell’Europa». Lei, in questo suo saggio, esprime invece la convinzione che sia possibile invertire la spirale del decadimento. In che modo?
«Se i cittadini prenderanno coscienza della possibilità di migliorare le cose, le idee innovatrici di cui abbiamo bisogno spunteranno».

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