24 gennaio 2019 - 23:51

Sacro & ribelle, i due volti di Israele

Nella metropoli schiacciata sul Mediterraneo, costretta a espandersi lungo la costa, convivono le contraddizioni che costituiscono il fascino del Paese

di Davide Frattini

Sacro & ribelle, i due volti di Israele Una delle zone più moderne di Tel Aviv
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Il viaggio si svolge dal 18 al 25 marzo, ad accompagnare i lettori sarà Davide Frattini, corrispondente da Israele del Corriere della Sera, che sotto firma un articolo di presentazione . Per info e prenotazioni 02.89730729 oppure sul sito corriere.it/inviaggioconcorriere. Volo più tour 2.990 euro in camera doppia. Hotel 5 stelle. Quattro pranzi e cinque cene in ristoranti selezionati. Partenze da Milano e Roma.

Ormai ultracentenaria Tel Aviv è più vecchia dello Stato d’Israele ma resta la bambina ribelle che fa dell’indisciplina la sua forza e il suo fascino. Il sindaco Ron Huldai — ne è il tutore da vent’anni e con il quinto mandato conquistato lo scorso ottobre lo resterà per altri cinque — ripete che «tutto comincia da qui». Le mode, l’agitazione creativa delle start-up tecnologiche, le proteste: come l’accampamento germogliato nell’estate del 2011 sotto i fiori rossi delle jacarande su viale Rothschild, adunata spontanea per la collera collettiva contro i super-ricchi in un Paese nato e cresciuto austero, educato alla ruvidità socialista dei kibbutz.

Punk, ultraortodossi e bar per travestiti

Tutto comincia da qui, da quella che i detrattori accusano di essere una «bolla», distaccata/separata dal resto della nazione. Eppure dentro la metropoli schiacciata sul Mediterraneo, costretta a espandersi lungo la costa verso Nord e Sud, convivono le contraddizioni che costituiscono il fascino di Israele. «Questa terra raggruppa tante subculture in pochi metri quadrati — ripete sempre lo scrittore Etgar Keret —. A Tel Aviv, c’era un bar per giovani punk, che aveva nel cortile un mikveh, il bagno rituale ebraico per i religiosi. La sera quella zona diventava il regno dei travestiti». Ogni tribù ha i suoi slogan politici, marchi fantasiosi di appartenenza riprodotti sugli adesivi che tutti appiccicano ai paraurti delle auto, tanto diffusi che il romanziere David Grossman ci ha composto una canzone per la band Hadag Nahash.

Le casette di Neve Tzedek: le prime, dal 1887

Il viaggio del Corriere della Sera comincia da qui. Tra questi grattacieli che dall’alto dei loro trentesimi piani sembrano far sentire fuori tempo massimo le casette di Neve Tzedek, le prime costruite dagli ebrei nel 1887 quando decisero di lasciare Jaffa e il porto ancora oggi abitati in maggioranza dagli arabi. La rincorsa dal basso procede con i prezzi al metro quadro: Neve Tzedek, le viuzze ricolme di negozi e piccoli caffé, è diventato uno dei quartieri più costosi (e attraenti) della città. Attraversare Israele in questo periodo permette anche di vivere la campagna elettorale (il voto anticipato è fissato per il 9 aprile), di capire quali possano essere le scelte in un Paese che anche nei periodi tranquilli è ingaggiato «nelle guerre tra le guerre» come le chiamano i generali israeliani. Un Paese dove anche la sinistra — almeno quella più ufficiale — sembra aver smesso di insistere per un accordo di pace con i palestinesi, di sostenere la restituzione agli arabi di tutti i territori conquistati nel 1967. La tappa a Betlemme – una delle città in Cisgiordania sotto il controllo totale dell’Autorità palestinese — non è solo un incontro con le origini del cristianesimo, rappresenta anche l’opportunità di conoscere la realtà del conflitto che non finisce.

Gerusalemme , la metropoli sacra alle tre religioni monoteiste, al centro del viaggio Gerusalemme , la metropoli sacra alle tre religioni monoteiste, al centro del viaggio

L’utopia sudamericana e i missilidi Hezbollah

Eshkol Nevo (scrittore di 48 anni, quattro meno di Keret) immagina in Neuland (pubblicato in Italia da Neri Pozza) uno Stato senza guerre, una comunità ebraica in Argentina dove la scritta sul cancello recita: «Tu che arrivi, sei mio fratello». Lontano dall’utopia sudamericana e vicino a casa, il romanzo racconta anche l’estate del 2006, i bombardamenti sul Libano e i missili di Hezbollah che cadono sulle città israeliane. È dedicato alla nonna Praha immigrata in Palestina per scampare all’Olocausto: «Se lei non fosse partita da lì, oggi non sarei qui». Un qui che Eshkol Nev non potrebbe mai lasciare: «Israele è il mio Paese, posso criticare le scelte del governo, l’amore resta. La mia lingua madre, l’ebraico, è un dono, come lo sono i miei amici». Il romanziere è nato a Gerusalemme e la metropoli sacra alle tre religioni monoteiste è al centro del viaggio. Con la visita alla Città Vecchia, dove Nevo passeggiava da bambino assieme ai genitori. «Vedevo persone che vivevano, si vestivano, parlavano, in modo diverso. Non ricordo che allora l’arabo fosse per me ebreo una lingua minacciosa». È così che ha imparato — e non smette di esercitarsi — che la convivenza sia possibile. Al di là dei sospetti reciproci e del dolore.

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