4 marzo 2019 - 10:06

La tolleranza religiosa nei Paesi arabi
Dentro l’islam le tensioni più acute

In corso a Bologna le giornate di studio della European Academy of Religion
Anticipiamo una relazione sui rapporti tra le diverse confessioni in Medio Oriente

di GIANCARLO ROVATI

La tolleranza religiosa nei Paesi arabi Dentro l’islam le tensioni più acute Papa Francesco e il grande Imam di al-Azhar Ahmad al-Tayyib il 4 marzo durante l’Human Fraternity Meeting ad Abu Dhabi (Foto Vincenzo Pinto/Afp)
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Pubblichiamo una sintesi dell’intervento su «Appartenenze religiose e tolleranza nel mondo islamico» che Giancarlo Rovati (docente di Sociologia generale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) tiene mercoledì 6 marzo a Bologna in una tavola rotonda nell’ambito delle giornate di studio organizzate dall’European Academy of Religion.

Qualunque riflessione sul rapporto che intercorre oggi tra le appartenenze religiose e la promozione di una rinnovata convivenza sociale, basata sul rispetto delle differenti identità e sulla promozione del loro diritto di espressione in forma individuale e associata, non può fare a meno di confrontarsi con l’evento epocale avvenuto ad Abu Dhabi il 3-5 febbraio scorso, culminato nella firma del Documento sulla «Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune» da parte di Sua Santità Papa Francesco e il grande Imam di Al-Azhar, Ahmad al-Tayyib. Il primo viaggio apostolico di un Papa nella penisola araba e il lungo dialogo con le autorità religiose che lo hanno reso possibile, hanno stabilito un terreno di intesa molto promettente per far comprendere a tutti i credenti e a tutti gli uomini di buona volontà il valore unitivo della fede in Dio e le sue conseguenze pacificanti sui rapporti umani.

Nella premessa al documento si legge infatti che «la fede porta il credente a vedere nell’altro un fratello da sostenere e amare. Dalla fede in Dio, che ha creato l’universo, le creature e tutti gli esseri umani (…) il credente è chiamato a esprimere questa fratellanza umana, salvaguardando il creato e tutto l’universo e sostenendo ogni persona, specialmente le più bisognose e povere». Il Documento «ragionato con sincerità e serietà» esprime «buone e leali volontà» per invitare tutte le persone «che portano nel cuore la fede in Dio e la fede nella fratellanza umana» a lavorare insieme per promuovere la cultura del reciproco rispetto, della tolleranza, della convivenza, della pace. È un invito pienamente consapevole degli ostacoli che ne impediscono la realizzazione (corsa agli armamenti, guerre, terrorismi, fondamentalismi, intolleranze, sfruttamento, povertà) e che perciò sa di remare controcorrente, scommettendo sulle aspirazioni più profonde di ogni essere umano. Tra i passaggi più impegnativi e promettenti del Documento — che puntano a imprimere una svolta nelle relazioni tra i musulmani e i cristiani d’Oriente e d’Occidente — vi è la dichiarazione solenne di «adottare la cultura del dialogo come via, la collaborazione comune come condotta, la conoscenza reciproca come metodo e come criterio». A tutti viene chiesto di «cessare la strumentalizzazione delle religioni per incitare all’odio, alla violenza, all’estremismo e al fanatismo cieco e di smettere di usare il nome di Dio per giustificare atti di omicidio, di esilio, di terrorismo e di oppressione». Al-Azhar e la Chiesa cattolica auspicano che il Documento sottoscritto insieme «sia una testimonianza della grandezza della fede in Dio che unisce i cuori divisi ed eleva l’animo umano» e «sia un simbolo dell’abbraccio tra Oriente e Occidente, tra Nord e Sud e tra tutti coloro che credono che Dio ci abbia creati per conoscerci, per cooperare tra di noi e per vivere come fratelli che si amano».

L’intento è chiaro, così come chiare sono le urgenze e le speranze che lo sorreggono. Viene però da chiedersi su quale terreno culturale e sociale stia cadendo questo seme di fratellanza nei Paesi a maggioranza islamica, dove il pluralismo religioso stenta ad affermarsi in via di diritto oltre che in via di fatto.

Per rispondere in modo attendibile a questa domanda torna decisamente utile esaminare i risultati delle indagini Arab Barometer che in modo ricorrente vengono svolte nei Paesi del Nord Africa e in alcuni Paesi del Medio Oriente. Per compiere, a titolo meramente esemplificativo, tale verifica, è opportuno considerare i risultati della terza rilevazione (effettuata nel 2012/2014) — particolarmente ricca di informazioni sugli orientamenti religiosi e il loro impatto sull’organizzazione politica — mettendo a confronto gli orientamenti verso le minoranze cristiane dei residenti in Egitto, Giordania, Iraq, Libano, Palestina.

La presenza di minoranze religiose in contesti «egemonici» (ovvero a fortissima maggioranza di una confessione religiosa) incontra in genere vita non facile, non tanto per ragioni giuridiche (che potrebbero prevedere piena libertà di culto e di espressione per tutte le comunità religiose) quanto per ragioni sociali, ovvero per l’oggettivo senso di superiorità che facilmente le maggioranze nutrono nei confronti delle minoranze e per la propensione alla «tolleranza» piuttosto che alla «accettazione» paritaria. Non sorprende allora che il riconoscimento del diritto di praticare la propria religione da parte delle minoranze è massimamente accettato in Libano, ove il pluralismo religioso vanta una lunga ed effettiva tradizione, e in misura decrescente in Egitto, Palestina, Iraq e Giordania. Se dalle affermazioni di principio si passa a valutazioni di ordine storico sullo stato «effettivo» delle relazioni tra minoranze cristiane e maggioranze islamiche si scopre che i meno ottimisti sono i libanesi, che negli scorsi decenni hanno sperimentato sanguinosi conflitti etnico-religiosi, mentre i più ottimisti sono gli intervistati in Egitto, Palestina, Iraq dove però il pluralismo è di fatto più limitato e più sparute (fin quasi all’invisibilità) sono le minoranze cristiane.

La quarta rilevazione di Arab Barometer (effettuata nel 2016 e resa pubblica nel giugno del 2018) ha coinvolto i residenti in Algeria, Egitto, Giordania, Libano, Marocco, Palestina, Tunisia (che possiamo considerare altrettanto emblematici per compiere la verifica), non esplora però le tematiche riferite in precedenza e non consente dunque confronti diretti. Resta però interessante considerare il sentimento di distanza sociale verso le persone che professano una religione diversa dalla propria (in genere quella cristiana) e la distanza sociale verso islamici appartenenti a una tradizione diversa dalla propria (scita o sunnita). Nel primo caso preferisce non avere come vicini di casa appartenenti ad altre religioni il 26% degli intervistati, mentre il 18% li accetterebbe volentieri (il restante 55% si dichiara indifferente). Nel secondo caso il sentimento di diffidenza sale al 39%, mentre il sentimento di accoglienza scende al 13% (con il 45% di indifferenti). Le difficoltà più marcate insorgono dunque all’interno del mondo islamico, i cui conflitti politico-religiosi hanno effetti traumatici anche su chi non ne è parte.

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