8 marzo 2019 - 20:51

Vanni Santoni, il nuovo libro
Ritorno a casa. Dal padre

Esce il 12 marzo per Mondadori «I fratelli Michelangelo», epica familiare e avventurosa
Antonio chiama i figli a raccolta: rispondono in quattro (su cinque)

di CHIARA FENOGLIO

Vanni Santoni, il nuovo libro Ritorno a casa. Dal padre «Family», installazione dell’artista olandese Levi van Veluw (1985)
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Rimettere le cose a posto: è questa la ragione che spinge Antonio Michelangelo a riunire i suoi cinque figli, avuti da quattro donne, in una villa primo novecentesca sulle alture di Vallombrosa, in Valdarno. Vallombrosa è una località di grande risonanza poetica, cantata da Milton, d’Annunzio e da quegli autori (Wordsworth, Shelley, Henry James) che fecero del Grand Tour un topos letterario e un tornante ineluttabile della loro formazione. Ma già Ariosto aveva scelto Vallombrosa come una delle tappe dell’intreccio che conduce Ruggero a ritrovare Bradamante. L’incantesimo del luogo agisce ugualmente ne I fratelli Michelangelo, le cui trame multiple — una per ciascun figlio — attraversano l’India, l’Indonesia, la penisola scandinava, Berlino, Londra, Milano, Roma, ma acquistano senso solo su quelle cime appenniniche. Ciascun figlio ha una ragione per odiare il padre e per ignorare l’enigmatica convocazione a Villa Fortuna: tutti, tranne la primogenita Aurelia, decidono tuttavia di convergere dai quattro angoli del pianeta a questo luogo primigenio per l’incontro con padre e col destino. Ci sarà di mezzo un’eredità? Antonio intende comunicare le sue ultime volontà?

Vanni Santoni, «I fratelli Michelangelo», Mondadori, pp. 612, euro 20. In libreria dal 12 marzo
Vanni Santoni, «I fratelli Michelangelo», Mondadori, pp. 612, euro 20. In libreria dal 12 marzo

L’opera di Vanni Santoni si presenta, in effetti, come un’epica familiare e nello stesso tempo come un romanzo di avventura che ha al centro la quête fondamentale, quella del padre. È una ricognizione sulla casa e l’identità, sulla domanda inaggirabile che si pone Enrico, il più giovane dei figli: «Cosa siamo poi, siamo quello che abbiamo fatto, quello che abbiamo letto, che abbiamo detto? Siamo quello che abbiamo avuto in eredità? Eredità di geni o di pratiche, o di modi d’essere? Siamo la nostra educazione, chi abbiamo amato, chi è che diceva quest’altra stronzata... siamo l’idea che gli altri hanno di noi, siamo quello che c’è scritto su Internet di noi...». Ma chi è davvero Antonio Michelangelo? Deus ex machina della vicenda, ingegnere venuto dal nulla, ex partigiano (sarà vero?), dirigente all’Ibm, all’Olivetti e poi all’Eni, infine artista, scrittore e regista (ma di un unico libro e di un unico film), la sua vita pubblica è il contraltare di una rocambolesca vita privata, costellata di mezzi fallimenti e derive: proprio la deriva sembra essere una delle figure più rappresentative di questo romanzo costruito (o sarebbe più opportuno dire: spezzato) in quattro onde narrative, ciascuna con un suo narratore (i quattro figli di Antonio che, nel viaggio verso Vallombrosa, ripercorrono le loro esistenze) a cui si aggiunge la cornice in cui la voce narrante tende a sovrapporsi a quella di Antonio. Uno spezzarsi di voci che trasforma la vicenda familiare in flotsam, massa di oggetti naufragati nell’oceano.

Vanni Santoni (Montevarchi, Arezzo, 1978). Collabora con il «Corriere» e «la Lettura»
Vanni Santoni (Montevarchi, Arezzo, 1978). Collabora con il «Corriere» e «la Lettura»

Questa dinamica è perfettamente incastonata e riassunta, come mise en abîme, nel capitolo indiano del libro, dove il figlio Luis ripercorre la sua avventura in un Paese che non ha più nulla di mistico e arcaico. Luis non sceglie Delhi per ritrovare sé stesso o per incontrare il divino, bensì per un progetto di partnership commerciale italoindiana che si rivelerà disastrosa. Non è l’India di Pasolini o Manganelli, e nemmeno quella di Franchini o Montefoschi: Santoni descrive piuttosto, e con grandiosa efficacia, l’India della globalizzazione, delle opportunità di ricchezza ad alto rischio. È un Paese dove miseria e inquinamento la fanno da padroni e dove gli holy man vengono derubricati a ex sessantottini che laggiù hanno trovato un paradiso artificiale raggiungibile con l’Lsd anziché con la meditazione. In quest’India ipermoderna non ci si ritrova, ci si smarrisce: il trekking nell’Himachal Pradesh organizzato da Luis perde qualsivoglia connotazione ascetica e diventa semplice occasione di «teambuilding»; lo stesso Luis, partito con un sogno di facile benessere, torna con un grumo nero di sconfitte e indegnità.

La dinamica centro-periferia, che costituisce l’intelaiatura geograficamente più evidente di questo sorprendente romanzo, è ribadita anche a livello linguistico con la mimesi del fiorentino e del milanese, con inserzioni da stili e lingue diverse (dall’inglese all’hindi). Attraverso le esistenze frastagliate dei quattro fratelli, Santoni ricostruisce quattro mondi lontani e coesistenti: gli ambienti degli intellettuali mancati, quelli di un turbocapitalismo tanto disincantato quanto sprovveduto, quelli dell’arte contemporanea e quelli omosessuali, introducono ad altrettante — incompiute — educazioni sentimentali.

I personaggi precari con cui Santoni esordì nel 2007 sono diventati adulti e la micronarrazione, che ritroviamo qui nella sezione finale, cede il passo a un romanzo dall’ampio respiro teso a rivedere, non senza ironia, i grandi padri ottocenteschi: Dostoevskij è occhieggiato fin dal titolo, Balzac è più volte richiamato, la stessa metafora della ricostruzione di una biblioteca plausibile è uno dei fili conduttori del romanzo, che culmina nell’ascesa finale da Vallombrosa verso il Saltino.

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