24 agosto 2018 - 16:28

Padre Solalinde, candidato al Nobel per la Pace: «Vi spiego perché i narcos mi vogliono morto»

A 73anni si è messo a indagare sulle sparizioni dei migranti in Messico dove aiuta intere famiglie attraverso l’associazione «Hermanos en el Camino»

di Marta Serafini

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Donald Trump può essere un’opportunità per i migranti. È un paradosso, lo so. Non voglio essere frainteso. Non sono certo un fan del presidente statunitense. Il suo razzismo sfacciato, la retorica violenta contro gli stranieri, l’ossessione del muro, però, stanno obbligando l’opinione pubblica internazionale, troppo a lungo apatica e sottomessa, a prendere posizione. Non possiamo più far finta di non sentire, nasconderci dietro un linguaggio politicamente corretto per giustificare leggi e pratiche disumane. Siamo costretti a prendere coscienza. E a lottare per difendere la giustizia». Padre Alejandro Solalinde, 73 anni, messicano, non è un uomo che si ferma davanti ai muri o alle convenienze della politica. Candidato al Nobel per la Pace, nel 2007 ha fondato «Hermanos en el Camino», un centro di aiuto per i migranti diretti negli Stati Uniti. «Ero un prete “borghese”, mi occupavo di teologia e psicologia. Ma quando mi accorsi che interi gruppi di migranti sparivano mi sono messo a indagare. Sapevo che mi stavo cacciando in un guaio, ma non c’era tempo per pensare a me».

Le indagini e il libro

Solalinde ha raccontato la sua vita nel libro «I narcos mi vogliono morto», scritto con Lucia Capuzzi, giornalista di Avvenire e in questi giorni è in Italia a presentarlo. Parla piano, cristallino, padre Alejandro, senza cercare mai la strada più comoda per se stesso e guarda con preoccupazione anche al dibattito italiano. «Quando discutiamo di migranti, il più delle volte commettiamo un errore. Poniamo la questione come un “problema”, mentre dovremmo vederla come una risorsa. Penso ad esempio al problema della solitudine. Le nostre società sono anziane. I giovani – e i migranti lo sono quasi sempre – portano gioia, allegria», spiega a Buone Notizie. Il ragionamento vale negli Stati Uniti ma anche in Europa. Invece i migranti diventano carne da macello per i traffici. Prostituzione, lavoro nei campi, lavoro minorile. Chi non ha nome e diritti è la preda perfetta dell’avarizia altrui. In Messico è il narcotraffico a trasformare questi esseri umani in schiavi e ad arruolare i più giovani per gli scontri a fuoco. Un racket che frutta ai cartelli 50 milioni di dollari all’anno e che vede sparire ogni anno 20 mila indocumentados (i senza documenti, come vengono chiamati i migranti).

«Il capitalismo selvaggio non è solo una forma di potere assassino e depredatore, una nuova religione basata sui soldi. Questi ultimi non hanno preso solo il posto di Dio nella nostra vita. Ormai hanno preso anche quello dell’uomo. L’essere umano è mero strumento di produzione e consumo», scrive padre Alejandro. Ed è per combattere tutto questo che Solalinde dieci anni fa ha lasciato la sua tranquilla parrocchia di Espinal per aprire gli “Albergue”, centri dove i migranti possono trovare aiuto. Una scelta che gli è costata quasi la vita, dopo che il potente cartello dei Los Zetas ha messo sulla sua testa una taglia da 1 milione di dollari. Ma non sono solo i narcos il demone di padre di Alejandro, anche la politica e la corruzione sfruttano gli uomini, le donne e i bambini che lui tenta di salvare. Nell’estate 2014, 52 mila minori non accompagnati hanno cercato di raggiungere gli Stati Uniti. Washington ha avviato un programma per consentire l’espatrio legale ai migranti minorenni che corrano pericolo di vita in patria o che vogliano riunirsi ai genitori. Certo, gli Stati Uniti hanno da sempre bisogno di manodopera a basso costo e da sempre cercano un compromesso per contenere l’ondata migratoria e al tempo stesso non serrare la frontiera. Ma da quando alla Casa Bianca è arrivato Donald Trump la propaganda sul muro e sulla chiusura dei confini è diventata sempre più potente. «Ma è evidente come chiudersi dentro a un recinto non possa essere la soluzione, piuttosto dovremmo iniziare a cambiare prospettiva: non esistono esseri umani “illegali”, di conseguenza i centri di detenzione dovrebbero diventare centri di “attenzione”».

Le famiglie

E non è solo per questioni di principio che gli operatori di «Hermanos en el Camino» si adoperano per i migranti. «Li aiutiamo anche per i ricongiungimenti familiari e aiutiamo i genitori che non trovano più i loro figli».A dare qualche speranza al Messico — secondo padre Solalinde — la vittoria del nazionalista di sinistra Andres Manuel Lopez Obrador, eletto presidente del Messico dopo Enrique Peña Nieto . «Credo che lui possa aiutare a cambiare la prospettiva e intavolare un buon dialogo con gli Stati Uniti». Per sconfiggere il narcotraffico sono tante le ricette che si possono adottare: «Bisogna proteggere i giovani e attaccare le finanze dei narcos invece di ingaggiare con loro sanguinose guerre». Padre Solidalinde crede. Crede con tutte le sue forze. E spera che la sua Chiesa possa aiutare a trovare una soluzione, un patto, un modo per vivere tutti insieme sotto lo stesso cielo. «E non è solo una questione di umana pietà: migranti sono i pionieri del futuro. Anticipano, con la loro ostinata resistenza, la possibilità di una nuova società. Perché? Perché non hanno paura di rischiare. I migranti rischiano il tutto per tutto, in nome della vita, per se stessi e per le loro famiglie. Sono i più indifesi, gli eterni esclusi eppure non si fermano, vanno avanti, camminano, confidando in una forza che, comunque la chiamiamo, solo Dio può infondere».

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