26 settembre 2018 - 12:46

L’arma vincente contro la ‘ndrangheta? Si chiama Goel e fattura 7 milioni

Significa «riscattatore» ed è una comunità calabrese. Il presidente Vincenzo Linarello: «Con noi può stare solo chi ha respinto le richieste di pizzo». Quasi tutti hanno subìto attentati

di Carlo Macrì

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Si chiama Goel ed è il termine ebraico che significa «Riscattatore». Colui che vendica i più deboli. Un nome scelto non a caso dal consorzio di imprese nato nella Locride per rilanciare l’immagine della Calabria, tutt’oggi assoggettata alla ‘ndrangheta. Il progetto, sorto alla metà degli anni ‘90, ha tra gli obiettivi principali proprio quello di delegittimare la criminalità organizzata attraverso un percorso sostenibile che coinvolge l’imprenditoria territoriale. Cambiare per crescere e sperare. Vincenzo Linarello, presidente di questa comunità tutta calabrese con un fatturato annuo di circa sette milioni di euro, composta da imprese, fondazioni, aziende agricole, cooperative sociali e di volontariato, che dà lavoro a duecento anime mentre altrettante sono le partite Iva e collaboratori, ammette candidamente: «Siamo a buon punto sul cambiamento. C’è una certa mentalità nuova in Calabria».

Il cammino è stato complesso. Goel è frutto di una idea strategica sostenuta all’epoca anche dal vescovo di Locri monsignor Giancarlo Bregantini, oggi a Campobasso. C’era da combattere una guerra impari contro la ‘ndrangheta, padrona assoluta del territorio. Nonostante le decine di attentati subiti nel corso degli anni, le attività del consorzio sono sempre ripartite. L’etica e la denuncia sono stati il cavallo di battaglia della comunità di Goel, che oggi si muove su più fronti esaltando il principio di legalità e trasparenza nel variegato mondo del lavoro, non solo in Calabria. La sede di Goel non a caso è a Gioiosa Jonica, nella Locride, un territorio che vanta il primato della disoccupazione, circa il 70%, terra difficile, martoriata e usurpata da antichi fenomeni criminali che l’hanno soggiogata e impoverita.

Il consorzio ha voluto scommettere partendo e lanciando proprio da questo territorio l’idea di una Calabria che può essere «diversa» e «operosa». «Volevamo combattere la precarietà, strumento di dipendenza che finisce con infoltire le cosche di ‘ndrangheta», dice Linarello. E spiega: «Le imprese, soprattutto, morivano se non si prestavano a questo tipo di assoggettamento. Molte aziende calabresi sono gestite dalla ‘ndrangheta e dalla massoneria. Goel è riuscito a spezzare questi legami, ha dato lavoro, creato imprese, riuscendo a gestire il patrimonio reinvestendolo sul territorio. Questa è stata l’arma vincente. Il consorzio ha identificato negli Enti locali i luoghi della «resistenza» e dell’«asservimento». Ha affrontato il tema e convinto con i fatti le imprese a fidarsi del progetto di rinascita.

«In noi dovevano trovare un’alternativa concreta. In Calabria - chiarisce Linarello - la fonte di reddito principale è la ‘ndrangheta che succhia, incassa e porta la ricchezza altrove, lasciando su questa terra solo le briciole». Goel invece è riuscito a fermare questa “emigrazione di denaro”, con l’arma della convinzione. «Volevamo essere l’antindrangheta, ma per fare questo dovevamo spingere la gente verso di noi. Dovevamo far capire alle persone che la ‘ndrangheta è un Grande Imbroglio». Oggi Goel è un patrimonio di idee, cultura, attività sociali e agricole. Una delle realtà più attive in Italia nella lotta alla ‘ndrangheta con attività che si dispiegano anche a livello nazionale«grazie all’Alleanza con la Calabria», una rete informale nata nel 2008 e oggi composta da oltre 760 enti di vario genere e oltre 3600 persone che aderiscono a titolo individuale. Il patrimonio di Goel è nei numeri: dodici cooperative, due associazioni di volontariato, una Fondazione, ventotto aziende agricole. Le cooperative sociali si distinguono nell’accoglienza per adolescenti con situazioni di devianza e nella riabilitazione psichiatrica, con 2 residenze per malati mentali. C’è poi il settore turistico con i «Viaggi di Goel», uno dei pochi tour operator specializzati in turismo responsabile in Italia che dà voce ad attività ambientali, gastronomiche, ed ecologiche. Un dinamismo propulsivo che affonda le radici in quei settori dove si concentrano gli interessi mafiosi.

Goel è stata sin dall’inizio una forma di tutela per chiunque fosse vessato o intimidito. «Con noi - continua Linarello - lavorano solo le imprese che hanno respinto le richieste di pizzo». Il consorzio utilizza le strutture confiscate ai mafiosi, come l’ostello di Locri, per iniziative sociali. L’impegno più tosto, però, è quello di salvaguardare le attività dei produttori agricoli che hanno aderito al progetto di Goel con il marchio Bio. Nel corso degli anni anche queste aziende hanno subito attentati e danneggiamenti. Il brand raggruppa aziende olivicole e agrumarie. La prima cooperativa in assoluto che concentra aziende vittime di estorsioni, ideata come marchio degli agricoltori resistenti.

«Siamo stati capaci di ricostruire la filiera per la vendita degli agrumi» continua ancora Linarello . «Prima agli agricoltori davano cinque centesimi per ogni chilogrammo di arance, adesso riusciamo a farglieli pagare 40 centesimi. È bastato eliminare la catena intermedia: oggi si passa dal produttore direttamente a chi vende al consumatore». E per venire incontro alle esigenze del mercato Goel si è inventato inoltre il progetto «Aiutamundi», come dire «aiutiamoci», una risposta alle difficoltà economiche del territorio e all’alta disoccupazione le quali hanno spinto il consorzio a escogitare un circuito economico che fa a meno del denaro: famiglie e imprese possono comprare servizi e prodotti dando a loro volta altri servizi e prodotti. E ancora.

Goel ha costruito un suo successo anche internazionale nel campo dell’alta moda con il marchio Cangiari, nel lessico calabrese «cambiare». La griffe con sede a Milano ha affidato la creazione dei suoi modelli a Paulo Melim Andersson, lo stilista del team di Martin Margiela e Chloé nonché design director di Marni. Da Milano a New York passando per Parigi le creazioni artigianali di Goel hanno sedotto le passerelle di tutto il mondo. «Siamo andati in giro alla ricerca di donne che ancora lavoravano la seta al telaio. E a dire il vero ne abbiamo trovate poche. Ma sufficienti a insegnare l’arte a giovani tessitrici che hanno deciso di memorizzare le tecniche del mestiere impedendo così che si disperdessero le antiche tradizioni», spiega il presidente del consorzio. Aggiungendo: «Volevamo dare loro un mercato nazionale. Gli alti costi del processo di trasformazione artigianale all’inizio ci hanno bloccati. Così ci siamo inventati l’Alta moda etica»: capi calabresi, rigorosamente fatti a mano, che possono sostenere la qualità e un ciclo di produzione. In giro per il mondo oggi i calabresi dicono grazie a Goel:«Ci ha reso fieri delle nostre tradizioni».

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