Il caffè
La solitudine dei numeri grigi
Stufa di parlare con i ritratti incorniciati dei parenti, in una mattina della sua novantatreesima estate la signora Ester ha pensato: che cosa posso inventarmi per attirare l’attenzione di un essere umano? Ha chiamato il 113 e ha fatto finta di avere subito una rapina. Il resto appartiene alla cronaca stupefacente di questo Paese a pezzi che non si sbriciola perché continuamente rabberciato da rattoppi di umanità. Gli agenti capiscono subito che la donna sta mentendo, ma anziché andarsene a fare rapporto, compiono qualcosa di rivoluzionario: la stanno a sentire. La solita storia: un’anziana murata viva in una casa gravida di ricordi, senza neanche una vicina o una badante con cui condividerli. E il desiderio, espresso in forma d’implorazione, di essere portata a fare una passeggiata. Gli agenti le offrono un caffè al bar del quartiere, la scortano in chiesa. E, mentre lei prega, trattano col parroco per garantirle il sostegno di qualcuno che vada ogni tanto a tenerle compagnia. Un’Italia antica che riscopre le figure del prete e del poliziotto per colmare le voragini lasciate dall’implosione della famiglia e dalla latitanza dello Stato Sociale.
I vecchi sono tanti, sono soli e sono un problema che non eccita passioni civili. Chissà se qualche personaggio alla moda troverà il tempo di mettersi una camicia rossa anche per loro.