11 aprile 2018 - 21:32

Caso Barros, Papa Francesco: «Ho commesso errori di valutazione, mancate informazioni veritiere»

Lettera del Pontefice ai vescovi cileni sul caso di pedofilia: «Dolore e vergogna per le molte vite crocifisse». E per ora non annuncia provvedimenti specifici

di Gian Guido Vecchi

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«Riconosco di aver commesso errori gravi di valutazione e percezione della situazione, specialmente per mancanza di informazioni veritiere ed equilibrate». Tradotto: non me l’avete raccontata giusta. La lettera di Papa Francesco ai vescovi cileni dopo il caso Barros, resa pubblica mercoledì sera, fa pensare che le cose dovranno cambiare nella Chiesa cilena e le sue gerarchie, «sarebbe anche opportuno porre la Chiesa del Cile in stato di preghiera». Per ora il Papa non annuncia provvedimenti specifici, né contro Barros né contro altri vescovi accusati dalle vittime di aver coperto il prete pedofilo Fernando Karadima, uno scandalo che ha devastato la credibilità della Chiesa cilena e funestato la visita di Francesco a gennaio. Ma Francesco ripete di provare «dolore e vergogna per «le molte vite crocifisse», scrive e convoca i vescovi a Roma «per discutere insieme» e decidere «atti concreti», ovvero «misure a breve, medio e lungo termine» per «ristabilire la comunione ecclesiale in Cile, riparare lo scandalo il più possibile e ripristinare la giustizia». È notevole il fatto che il Papa riceverà in Vaticano anche le vittime che accusano Barros e altri vescovi: «Mi scuso con tutti coloro che ho offeso e spero di poterlo fare personalmente, nelle prossime settimane, negli incontri che avrò con rappresentanti delle persone sentite» durante l’inchiesta.

L’inchiesta

Francesco, a febbraio, aveva infatti mandato in Cile l’arcivescovo Charles Scicluna, uomo di punta del Vaticano nelle indagini contro gli abusi su minori, per fare luce sul caso Barros e ascoltare i suoi accusatori. Già il 16 gennaio,appena arrivato in Cile, aveva espresso «dolore e vergogna». Su Barros però aveva esclamato: «Non c’è l’ombra di una prova, sono calunnie». Nel volo di ritorno si era scusato («so che molta gente abusata non può portare prove») ma aveva spiegato di aver respinto per due volte le dimissioni di Barros dopo avergli parlato, di essere «convinto sia innocente» e di non poter condannare senza «evidenze»: «Io non ho sentito nessuna vittima di Barros, non si sono presentate. Se una mi dà evidenze, ho il cuore aperto». Pochi giorni dopo, il Vaticano informava che «a seguito di alcune informazioni recentemente pervenute» Francesco avrebbe inviato Scicluna in Cile. È lo stesso Francesco a scrivere che sono stati sentiti 64 testimoni e raccolte 2300 pagine di verbale: «Dopo una lettura meditata degli atti di questa missione speciale, credo di poter affermare che tutte le testimonianze raccolte parlano in modo scarno e senza edulcorazioni di molte vite crocifisse e vi confesso che questo mi causa dolore e vergogna». Oltre a Barros, le vittime accusano altri tre monsignori, Andrés Arteaga Horacio Valenzuela Tomislav Koljatic, pure loro nella «fraternità» di Karadima e divenuti vescovi, come Barros, ai tempi di Wojtyla. E hanno accusato i cardinali Ricardo Ezzati e Francisco Javier Errázuriz di aver mentito e coperto lo scandalo, un’accusa pesante: i due proporati sono l’arcivescovo di Santiago e l’emerito che fa parte del «C9», il gruppo di consiglio del pontefice.

La difesa dei vescovi

I crimini di Karadima, «guida spirituale» della «Pia unione» fondata nella parrocchia del Sacro Cuore di El Bosque, iniziarono negli anni Ottanta, ancora nel pieno della dittatura di Pinochet. Il presidente della Conferenza episcopale del Cile, monsignor Santiago Silva, ha assicurato che anche l’episcopato condivide «il dolore» del Papa, «forse non abbiamo fatto tutto quanto avremmo dovuto. Nostro impegno è che cose del genere non si ripetano mai più». E le informazioni non veritiere arrivate al Papa? «Non si riferiva a noi», dice.

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