5 luglio 2018 - 22:57

Roma e le buche: la forza civile dei cerchi gialli, lezione per tutti i politici

Il gesto dei cittadini romani — che segue l'appello della madre di una delle vittime delle strade della Capitale — ricorda quello dei milanesi, che pulirono la città dalle scritte dei «black bloc» il 2 maggio del 2016

di Goffredo Buccini

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Forse ne usciremo con una moratoria «cacio e pepe», come spesso accade in Italia: piuttosto che applicare una legge in modo assurdo, ci giriamo dall’altra parte, abrogandola nel nostro cuore.

Così magari si regoleranno, senza proclami, i vigili urbani di Roma per non multare quei benemeriti cittadini che, spray in pugno, segnalano con cerchi gialli sull’asfalto le buche stradali, ormai croce quotidiana della Capitale: ciò che dovrebbe fare, cioè, un’amministrazione decente ove non riesca a chiudere quelle buche. I latini non s’erano inventati per caso il broccardo «summum ius summa iniuria»: un’estrema applicazione della legge potrebbe tradursi, qui, in ingiustizia massima, ove colpisse un’attività di puro civismo, sostenuta da comitati di quartiere, in parte paragonabile a quella dei tanti milanesi che, spazzole alla mano, ripulirono anni fa la loro città imbrattata dai teppisti black bloc (allora si cancellava dai muri e ora si disegna sulla strada, ma solo un cieco non ne vedrebbe l’uguale tratto civico).
Le dieci buche più pericolose nel centro di Roma
La mappa

Certo quei cerchi gialli suonano come l’ultima, visiva sconfessione della città all’amministrazione di Virginia Raggi. E concludono una vicenda dove si contrappongono la persistente bonomia del nostro genius loci (il «pizzardone» sordiano ne fu eroe eponimo) e l’urticante banalità di una stagione politica di parole senza freno, smodata anche al di là delle intenzioni. Perché la civile protesta romana ha un antefatto che pesca proprio nella ferocia (forse) involontaria della nostra politica spettacolo. Forse: poiché diamo per scontato non ci fosse dolo, ma colpevole disinformazione condita dalla solita voglia di show, nella sceneggiata romana di Beppe Grillo al volante, mentre proclamava che nella città amministrata dalla pentastellata Raggi «non ci sono buche!» (Grillo peraltro si trovava su un tratto non urbano). Al fondatore del movimento ha allora risposto una madre pacata e dolente, Graziella Viviano, che ha perso il 6 maggio sua figlia Elena Aubry per una caduta in moto, forse causata proprio da una buca o dalla protuberanza d’una radice (altra insidia micidiale nelle vie abbandonate di Roma). La signora Graziella, in una lettera dedicata alla sua Elena, scrive sconfortata «...c’è pure chi dice che le buche non ci sono». Poi spiegherà che «le battute da comico vanno bene se si parla di immondizia o di verde incolto, ma qui ci sono vite umane che rischiano di spezzarsi ogni giorno. Non faccio politica, ma con tre euro di bomboletta spray forse Elena sarebbe ancora viva». L’idea dei cerchi gialli nasce da qui.


E qui non sarebbe male se la politica riflettesse sulle proprie parole
, perché non tutto può essere slogan. Perché certo Grillo poteva non conoscere la storia di Elena Aubry ma difficilmente poteva ignorare che dall’inizio dell’anno decine di romani sono morti come Elena, vittime delle letali strade di Roma: e che dietro quei morti ci sono padri, mariti, mogli, mamme. Non tutto va ridotto a tweet o a boutade: in una delle ultime interviste Michel Rocard sosteneva che un politico dovrebbe tirarsi fuori dal flusso dell’istantaneità, prendersi tempo per ragionare. La caccia alla battuta a effetto produce mostri. Nessuno ne è immune: la lezione di mamma Graziella e delle bombolette gialle serva a tutti i politici per recuperare il senso dell’umano, della parola e di chi può esserne ferito: persone in carne e ossa, spesso senza voce. E serva a noi giornalisti quando, per pigrizia o paura o sciatteria, dimentichiamo davanti a lorsignori di essere noi, poiché giornalisti, i rappresentanti di quelle persone: e la loro voce.

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