17 luglio 2018 - 07:08

Blitz contro i Casamonica, dal funerale del boss stile «Il Padrino» agli arresti dei capiclan

Gli arresti grazie alle testimonianze dei pentiti. Il retroscena della canzone suonata al funerale di Vittorio Casamonica nell’agosto del 2015: i musicisti minacciati e non pagati

di Giovanni Bianconi

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Vittorio Casamonica, morto a 65 anni nell’agosto del 2015, per il quale fu celebrato il famoso funerale-show con musiche, cavalli e petali lanciati dall’alto, era il «re» di una cosca mafiosa. Così lo consideravano gli altri capiclan che ora sono finiti in carcere accusati, per l’appunto, di associazione mafiosa, a cominciare da Luciano Casamonica, divenuto noto alle cronache nell’inchiesta su «Mafia capitale» perché impiegato nelle cooperative di Salvatore Buzzi e per la foto con l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno.

«Vittorio per noi è un re», diceva Luciano a Massimiliano Fazzari, uno dei pentiti che ha collaborato all’indagine della Procura di Roma sfociata nel blitz dei carabinieri del comando provinciale. Luciano da ragazzo era uno degli autisti di Vittorio, e al «funerale dello scandalo» era uno dei quattro che portarono a spalla la bara del «re». In quell’occasione la banda di musicisti reclutata per suonare fu costretta ad eseguire la colonna sonora del film Il Padrino, e non venne nemmeno pagata. «Prima che cominciassimo a suonare – ha testimoniato uno dei musicisti –, è venuto verso di noi un uomo dell’età di 40-50 anni, dall’aspetto che sembrava di origine zingara; egli, rivolgendosi a tutti noi lì presenti, con fare prepotente ha detto. ‘Dovete suonare Il Padrino!’. Noi non abbiamo accolto questa richiesta dicendo che avremmo preferito le marce funebri, ma egli avrebbe risposto: ‘Qui si fa come dico io, dovete suonare Il Padrino!’. L’atteggiamento dell’uomo e la presenza di tanta altra gente della sua famiglia lì intorno ci ha portato ad eseguire quanto richiesto».

Per il sostituto procuratore Giovanni Musarò e il procuratore aggiunto Michele Prestipino che hanno condotto l’inchiesta e chiesto gli arresti ordinati dal giudice Gaspare Sturzo, questa dichiarazione dà conto, insieme ad altre, del «clima di intimidazione» in cui si svolsero le esequie, caratterizzate da quelle note «inequivocabilmente evocative della caratura mafiosa del defunto». Ma a definire i caratteri dell’associazione mafiosa, dedita ad estorsioni, traffico di droga e altri reati, ci sono per l’accusa molti altri elementi, ricavati dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (oltre a Fazzari ha parlato Debora Cerreoni, che è stata sposata con Massimiliano Casamonica, fratello dell’attuale capoclan Giuseppe) e dalle intercettazioni. Per spiegare l’egemonia del clan rispetto alle organizzazioni criminali romane, Fazzari ha spiegato che rispetto ai Casamonica le altre bande «non sono nessuno, anche se sparano, perché i Casamonica sono tanti».

Il pentito, che è di origine calabrese, ha fatto il paragone con le «cosche della sua terra»: «Come una famiglia di ‘ndrangheta potente, quando sono tanti e sono organizzati bene diventano potenti sia con i soldi che con i morti». Di fare morti, a Roma, non c’è stato bisogno. Secondo gli inquirenti sono bastate violenze di altro genere, la forza di intimidazione e lo sfoggio del potere criminale, rivendicato dagli stessi affiliati al clan. In un colloquio registrato dai carabinieri, Giuseppe Casamonica ha spiegato a un interlocutore che si informava per avere protezione nei locali: «Agli albanesi gli abbiamo rotto le ossa e li abbiamo mandati via. Se non credi a me puoi domandare in zona come stiamo noi, e vedi». E aggiungeva: «La famiglia nostra è tutta unita. Noi siamo proprio uniti, proprio in famiglia è una cosa, è la razza propria che è fatta in questa maniera».

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I funerali del boss Casamonica a Roma: carrozze, banda e Rolls Royce

Per gli affiliati del clan, secondo il racconto della pentita Debora Cerreoni, «l’ostentazione del lusso sfrenato”» è una manifestazione di potere da mostrare e far valere di fronte alle altre gang criminali: «Amano ostentare la loro ricchezza, sono convinti che anche in questo modo dimostrano la loro potenza. Per loro il Rolex è una specie di simbolo, di segno distintivo».

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