19 luglio 2018 - 18:13

Borsellino, i giudici: «La trattativa Stato-Mafia accelerò la sua morte»

Per la Corte d’assise di Palermo l’invito al dialogo al boss Totò Riina, dopo la strage di Capaci, indusse Cosa Nostra ad accelerare i tempi dell’eliminazione del magistrato

di Redazione Online

La scena dell’attentato in via D’Amelio nel 1992, in cui rimase ucciso Borsellino La scena dell’attentato in via D’Amelio nel 1992, in cui rimase ucciso Borsellino
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L’invito al dialogo che i carabinieri fecero arrivare al boss Totò Riina, dopo la strage di Capaci, sarebbe l’elemento di novità che indusse Cosa Nostra ad accelerare i tempi dell’eliminazione di Paolo Borsellino. Lo sostengono i giudici della corte d’assise di Palermo che hanno depositato le motivazioni delle condanne a Mori, De Donno, Subranni, Dell’Utrie dell’assoluzione per Mancino, il 20 aprile scorso, nel processo sulla cosidetta trattativa Stato-mafia. «Ove non si volesse prevenire alla conclusione dell’accusa che Riina abbia deciso di uccidere Borsellino temendo la sua opposizione alla `trattativa´ conclusione che peraltro trova una qualche convergenza nel fatto che secondo quanto riferito dalla moglie, Agnese Piraino Leto, Borsellino, poco prima di morire, le aveva fatto cenno a contatti tra esponenti infedeli delle istituzioni e mafiosi, - scrivono - in ogni caso non c’è dubbio che quell’invito al dialogo pervenuto dai carabinieri attraverso Vito Ciancimino costituisca un sicuro elemento di novità che può certamente avere determinato l’effetto dell’accelerazione dell’omicidio di Borsellino, con la finalità di approfittare di quel segnale di debolezza proveniente dalle istituzioni dello Stato e di lucrare, quindi, nel tempo dopo quell’ulteriore manifestazione di incontenibile violenza concretizzatasi nella strage di via d’Amelio, maggiori vantaggi rispetto a quelli che sul momento avrebbero potuto determinarsi in senso negativo».

Smontata la difesa

La corte «smonta» poi le tesi dei legali degli imputati, in particolare degli ufficiali del Ros, che attribuivano l’accelerazione dei tempi della strage all’indagine mafia-appalti che il magistrato stava effettuando e anche alla possibilità di una sua nomina a Procuratore nazionale antimafia: «Non vi è alcun elemento di prova che possa collegare il rapporto `Mafia e appalti´ all’improvvisa accelerazione che ebbe l’esecuzione di Borsellino». Che fu invece determinata «dai segnali di disponibilità al dialogo - e, in sostanza, di cedimento alla tracotanza mafiosa culminata nella strage di Capaci - pervenuti a Salvatore Riina, attraverso Vito Ciancimino, proprio nel periodo immediatamente precedente la strage di via D’Amelio». Le motivazioni sono state depositate proprio allo scoccare dei 90 giorni previsti dalla pronuncia della pena e proprio nel giorno del 26esimo anniversario della strage di via D’Amelio e dell’invito di Mattarellaa continuare a cercare la verità. Secondo i giudici, «non vi è dubbio» che i contatti fra Mario Mori e Giuseppe De Donno con Vito Ciancimino, «unitamente al verificarsi di accadimenti (quali l’avvicendamento di quel ministro dell’Interno che si era particolarmente speso nell’azione di contrasto alle mafie, in assenza di plausibili pubbliche spiegazioni) che potevano ugualmente essere percepiti come ulteriori segnali di cedimento dello Stato, ben potevano essere percepiti da Salvatore Riina già come forieri di sviluppi positivi per l’organizzazione mafiosa nella misura in cui quegli ufficiali lo avevano sollecitato ad avanzare richieste cui condizionare la cessazione della strategia di attacco frontale allo Stato». Peraltro ciò è più vero se si tiene conto, del fatto che tale indagine - mafia e appalti - «non era certo l’unica né la principale di cui Borsellino ebbe ad interessarsi in quel periodo, che nessun spunto idoneo a collegare tra la vicenda `mafia e appalti´ con la morte di Borsellino è possibile trarre dalle dichiarazioni dei tanti collaboratori di giustizia esaminati e cui, per altro, la vicenda `mafia e appalti´ è ben nota».

I figli di Borsellino alla fine della messa, nella chiesa di San Francesco Saverio a Palermo, in memoria delle vittime della strage, celebrata dal parroco Don Vito Scordato I figli di Borsellino alla fine della messa, nella chiesa di San Francesco Saverio a Palermo, in memoria delle vittime della strage, celebrata dal parroco Don Vito Scordato

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