26 aprile 2019 - 08:00

Milano, l’ultrà laziale del saluto a Mussolini che lavorava con Alemanno

Corbolotti e l’incarico in segreteria dell’allora sindaco. Indagini allargate alle bande del tifo organizzato La Procura Identificati in 29, il pm milanese e l’ipotesi dell’associazione per delinquere

di Rinaldo Frignani

I tuifosi della Lazio a Milano. Di spalle Claudio Corbolotti (Ansa) I tuifosi della Lazio a Milano. Di spalle Claudio Corbolotti (Ansa)
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Dall’incarico nella segreteria dell’allora sindaco di Roma Gianni Alemanno allo striscione di piazzale Loreto in onore di Benito Mussolini. È la parabola di Claudio Corbolotti, 53 anni, uno dei leader degli Irriducibili della Lazio, fra i nove estremisti di destra (otto laziali e un interista) denunciati dalla polizia per aver esposto lo striscione inneggiante al Duce prima di Milan-Lazio: secondo l’accusa è stato lui a chiamare più volte il «presente» al drappello di ragazzi sul marciapiede mentre faceva il saluto romano. È accusato con gli altri di manifestazione fascista, rischia da sei mesi a due anni di carcere.


Ma ora il pool antiterrorismo della Procura milanese sta verificando eventuali collegamenti con altri episodi di violenza ultrà degli ultimi tempi, come quello costato la vita il 26 dicembre scorso prima di Inter-Napoli al tifoso del Varese Daniele Belardinelli. Il sospetto è che ci possa essere un’associazione di bande appartenenti al tifo organizzato dedite non solo alle risse, ma anche alle manifestazioni a sfondo fascista.
Corbolotti arriva da quel mondo. Candidato per l’Msi alle Amministrative del 1993, è stato arrestato nel 2004 per gli scontri dopo la sospensione del derby Roma-Lazio. Era quello in cui filtrò la falsa notizia del bambino ucciso durante le cariche della polizia fuori dall’Olimpico, dell’invasione di campo dei capi ultrà (fra loro Daniele De Santis, romanista condannato per l’omicidio del tifoso napoletano Ciro Esposito nel maggio 2014 a Roma, prima di Fiorentina-Napoli) per terrorizzare i calciatori e spingerli a non giocare il secondo tempo. E dell’assalto di romanisti e laziali a polizia e carabinieri.


All’epoca dei fatti Corbolotti si costituì con un altro ultrà laziale, anch’egli presente a piazzale Loreto, Ettore Abramo, detto «Pluto», per ora solo nella lista dei 29 identificati per lo striscione. Quattro anni fa proprio quest’ultimo rimase coinvolto in un’operazione contro il narcotraffico ad Acilia. Indagine della Guardia di Finanza su un’associazione che agiva con metodo mafioso collegata al clan Guarnera e alla «banda di Ponte Milvio» di un altro capo ultrà laziale, Fabrizio Piscitelli, per tutti «Diabolik». Corbolotti non è l’unico estremista di destra ad essere entrato in Campidoglio, ma lui faceva parte dell’ufficio di Antonio Lucarelli, già ex portavoce romano di Forza Nuova e poi capo della segreteria del primo cittadino. Allora Alemanno replicò così alle accuse di aver affidato incarichi pubblici a queste persone: «Rifiuto la logica per cui chi ha precedenti debba avere una condanna a vita e non possa più lavorare».

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