7 maggio 2019 - 22:44

Papa Francesco: «La tenerezza della Chiesa è un antidoto alla cultura dell’insulto»

Il Pontefice nel viaggio di ritorno da Bulgaria e Macedonia: «Due Paesi diversi, ma uniti dal rispetto tra le diverse fedi»

di Gian Guido Vecchi, inviato sul volo papale

Papa Francesco: «La tenerezza della Chiesa è un antidoto alla cultura dell’insulto»
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Papa Francesco raggiunge i giornalisti in fondo all’aereo che torna a Roma da Skopje, in Macedonia del Nord, seconda tappa del viaggio nei Balcani che domenica lo aveva portato in Bulgaria. Il volo è breve, c’è poco tempo per le domande. E c’è una cosa che gli preme dire: «Due esperienze limite mi hanno toccato profondamente in questo viaggio. Una, nel memoriale di Madre Teresa a Skopje, è stata la mitezza delle suore. C’erano tanti poveri, e vedere queste suore che li curavano senza paternalismo, la loro capacità di carezzare, la tenerezza… Oggi noi siamo abituati a insultarci, un politico insulta l’altro, un vicino insulta l’altro, anche nelle famiglie si insultano tra loro. Io non oso dire che c’è una cultura dell’insulto ma l’insulto è un’arma che abbiamo in mano, anche lo sparlare degli altri, la calunnia, la diffamazione… Ecco, vedere queste suore che guardavano ogni persona come fosse Gesù mi ha colpito. Mi ha fatto sentire la Chiesa madre. Mi ha colpito un ragazzo che mi è stato presentato. Una suora mi ha detto: “Beve troppo”. L’ha detto con la tenerezza di una mamma. Una delle cose più belle è trovare la maternità della Chiesa e oggi l’ho sentita lì…».

L’altra esperienza, racconta il Papa, sono state le prime comunioni che ha dato personalmente in Bulgaria: «Mi sono emozionato perché la memoria è andata all’8 ottobre ’44, la mia prima comunione. Cantavamo “O santo altare custodito dagli angeli”. Ho visto quei bambini che si aprono alla vita con una decisione sacramentale… La Chiesa custodisce i bambini che devono crescere, sono una promessa: ho sentito che quei 245 bambini erano il futuro della Chiesa e della Bulgaria». Nelle parole del Papa c’è anche il cordoglio per la morte di Jean Vanier, scomparso a novant’anni, fondatore della comunità L’Arche, oggi diffusa in 38 Paesi, una vita spesa per i disabili: «Io sapevo della malattia di Jean Vanier, una settimana fa l’ho chiamato al telefono, mi ha ascoltato ma appena poteva parlare. Vorrei esprimere la mia gratitudine per la sua testimonianza in favore di coloro che sono disprezzati e scartati nel mondo. Ha lavorato non solo per gli ultimi ma anche per coloro che, prima di nascere, rischiano di essere condannati a morte. Ha speso la sua vita così. Grazie a lui e grazie a Dio per averci dato quest’uomo».

Santità, che impressione ha avuto di questi due Paesi, Bulgaria e Macedonia del Nord?
«Completamente diverse. La Bulgaria è una nazione che ha una tradizione di secoli. La Macedonia pure ma non come Paese, bensì come popolo che ultimamente è riuscito costituirsi come nazione. Per noi cristiani, la Macedonia è un simbolo dell’entrata del cristianesimo in Occidente tramite il macedone che è apparso in sogno a san Paolo: “Vieni da noi”. Lui andava verso l’Asia. È stata un mistero quella chiamata. Il popolo macedone ne è fiero, non perde l’occasione di dirci: San Paolo è stato chiamato da un macedone. La Bulgaria ha dovuto lottare tanto per la sua identità come nazione. Una cosa che ho visto in ambedue le nazioni sono i buoni rapporti tra le differenti fedi. Ognuno ha il diritto di esprimere la propria religione e di essere rispettato. Mi ha toccato tanto il colloquio con il patriarca Neofit, un grande uomo di Dio. Il presidente macedone ha detto: qui non c’è tolleranza tra religioni, c’è rispetto. Si rispetta. In un mondo in cui il rispetto manca tanto - per i bambini, gli anziani, i diritti umani e così via - questa la mistica del rispetto mi ha colpito…».

Dove trova la forza nel corpo e nello spirito?
«Prima di tutto vorrei dirti che non vado dalla strega! Non so davvero, è un dono del Signore. Quando sono in un Paese mi dimentico tutto, ma non perché io voglia dimenticare: mi viene così, lì, e questo mi dà perseveranza. Non so, io nei viaggi non mi stanco. Poi mi stanco. Dopo. Ma dove prendo la forza, è il Signore che me la dà. Io chiedo al Signore di essergli fedele, di servirlo in questo lavoro dei viaggi, che non sia turismo! Lo chiedo, e grazie a Lui…Ma poi non faccio tanto lavoro!».

La chiesa ortodossa serba non vorrebbe la canonizzazione del cardinale Stepinac (figura discussa tra croati cattolici e serbi ortodossi per il suo ruolo nella Seconda guerra mondiale e le accuse di collaborazionismo con il regime nazifascista ustascia ndr)…
«In genere i rapporti sono buoni e c’è buona volontà. Io posso dirvi sinceramente che ho incontrato, tra i patriarchi, degli uomini di Dio. Neofit è un uomo di Dio. Elia della Georgia, che porto nel cuore, è un uomo di Dio. E così Bartolomeo, Kirill… Sono grandi patriarchi che danno testimonianza. Tutti abbiamo difetti. Ma io nei patriarchi ho trovato dei fratelli e, vorrei dire la parola, alcuni santi. Uomini di Dio. Poi ci sono le cose storiche nelle nostre chiese… Oggi, per esempio, il presidente mi diceva che lo scisma d’Occidente è iniziato in Macedonia. E adesso viene il Papa, per la prima volta. Per ricucire lo scisma? Non so. Ma ceto per dire: siamo fratelli. Perché non possiamo adorare la Santa Trinità senza tenerci per mano, come fratelli. Su questo sono d’accordo anche i patriarchi. Quanto al caso storico del cardinale Alojzije Stepinac, arcivescovo di Zagabria, è un uomo virtuoso, per questo la Chiesa lo ha dichiarato beato, lo si può pregare. Ma a un certo punto del processo di beatificazione sono emersi punti non chiariti, storici. Io dovevo firmare la canonizzazione e ho pregato, ho riflettuto, ho chiesto consiglio e visto che dovevo chiedere aiuto a Ireneo. Mi ha dato aiuto, abbiamo lavorato e fatto una commissione assieme. L’unica cosa che interessa a Ireneo e a me è di non sbagliare. Noi sappiamo che è un uomo buono, beato. Ma per fare questo passo ho cercato l’aiuto di aiuto di Ireneo, per fare verità. Si sta studiando. La commissione ha dato il suo parere, adesso si stanno studiando altri punti perché la verità sia chiara. Io non ho paura della verità, solo ho paura del giudizio di Dio».

In Bulgaria lei ha visitato una comunità ortodossa che ha una lunga tradizione di ordinazione delle donne diacono. Fra pochi giorni incontrerà l’unione delle superiori generali, che aveva chiesto tre anni fa una commissione sul diaconato femminile. Che cosa ha imparato dal rapporto della commissione sul ministero delle donne nei primi anni della Chiesa? Ha preso qualche decisione?
«È stata fatta una commissione e ha lavorato per quasi due anni. Erano tutti diversi, “rospi” di diversi pozzi. Tutti pensavano in modo diverso ma hanno lavorato insieme e si sono messi d’accordo, fino a un certo punto. Ma ognuno ha la propria visione che non concorda con quella degli altri. E lì si sono fermati. Ognuno sta studiando come andare avati. Sul diaconato femminile, c’è un modo di concepirlo con una visione che non è la stessa di quello maschile. Per esempio, le formule di ordinazione diaconali femminili trovate fino ad ora, secondo la commissione non sono le stesse dell’ordinazione maschile e assomigliano di più a quella che oggi sarebbe la benedizione abbaziale di una badessa. C’erano diaconesse all’inizio, ma era una ordinazione sacramentale o no? Si discute ma non è chiaro. Aiutavano nella liturgia, i battesimi, le unzioni, erano chiamate dal vescovo quando c’era una lite matrimoniale o una separazione, o quando una donna accusava il marito di picchiarla. Ma non c’è certezza che fosse una ordinazione con la stessa forma e finalità di quella maschile. Alcuni dicono: il dubbio c’è. Andiamo avanti a studiare per dare una riposta definitiva, un sì o un no. Io non ho paura dello studio. È curioso che dove c’erano diaconesse era quasi sempre una stessa zona geografica, soprattutto nella Siria…Una cosa interessante: alcuni teologi di trent’anni fa dicevano che non c’erano diaconesse perché le donne erano in secondo piano nella Chiesa e non solo nella Chiesa. Ma è curioso: in quell’epoca, invece, c’erano tante sacerdotesse pagane, nei culti pagani il sacerdozio femminile era all’ordine del giorno. Si capisce che, essendo questo sacerdozio femminile pagano, non ci fosse nel cristianesimo».

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