19 marzo 2019 - 22:15

I magistrati bocciano il «codice rosso»: dannoso sentire le vittime entro 3 giorni

L’obbligo nel ddl contro le violenze su donne e minori: boomerang per procure e indagini. La modifica era stata pensata per evitare che le denunce restino nei cassetti degli uffici giudiziari

di Giovanni Bianconi

I magistrati bocciano il «codice rosso»: dannoso sentire le vittime entro 3 giorni
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La riforma che prevede l’obbligo per il pubblico ministero di sentire le vittime di presunti maltrattamenti in famiglia, violenze sessuali, atti persecutori e reati collegati è inutile, difficilmente applicabile e potenzialmente dannosa. Così la pensano i magistrati specializzati nelle indagini sulle violenze contro le donne e i minori, che bocciano in maniera piuttosto netta la norma inserita nel disegno di legge che ha come primo firmatario il ministro della Giustizia Bonafede. Un intervento ribattezzato «codice rosso» e propagandato come una delle principali novità nell’azione governativa in materia, criticato quasi all’unanimità da chi ogni giorno è impegnato nelle indagini.

Le differenze

A differenza del progetto presentato dalla deputata Cinque Stelle Stefania Ascari, che riserva l’interrogatorio immediato condotto dal pm ai casi in cui ve ne sia effettiva necessità, la riforma del governo (riprodotta in copia anche da una proposta di Forza Italia) impone che di fronte alle accuse di violenze domestiche o «di genere» l’inquirente abbia l’obbligo di «assumere informazioni dalla persona offesa o da chi ha presentato denuncia entro il termine di tre giorni dalla notizia di reato, salvo imprescindibili esigenze di tutela della riservatezza». Una modifica pensata per evitare che le denunce restino nei cassetti degli uffici giudiziari, ma che nella realtà potrebbe rivelarsi un boomerangdestinato a ingolfare le Procure e creare difficoltà alle indagini.

Montoleone: profili critici

«Ci sono profili critici che meritano attenta considerazione», avverte il procuratore aggiunto di Roma Maria Monteleone, coordinatrice del poolanti violenze, nella relazione consegnata alla commissione Giustizia della Camera dopo l’audizione del 20 febbraio. Nella quale mette in guardia da interventi slegati dalla conoscenza del fenomeno e problematiche connesse. Il suo gruppo, nell’ultimo anno giudiziario, s’è occupato di oltre 4.500 provvedimenti tra violenze sessuali, pedopornografia, lesioni volontarie, maltrattamenti in famiglia e atti persecutori, e ha chiesto 667 misure cautelari tra cui 300 arresti in carcere. Tuttavia, dei 1.545 fascicoli per maltrattamenti, per circa 600 è stata chiesta l’archiviazione: sono altrettanti casi in cui l’adempimento previsto dalla riforma sarebbe stato «del tutto inutile», con spreco di mezzi ed energie già insufficienti al lavoro quotidiano.
Le «maggiori criticità» riguardano i reati contro «i minorenni e le vittime particolarmente vulnerabili, il cui ascolto presenta profili del tutto specifici» su tempi, utilità e modi con cui raccogliere le testimonianze. L’obbligo proposto «è una misura che aggrava il rischio di vittimizzazione secondaria della vittima, perché aumenta il numero di volte in cui viene sentita, peraltro non nel contraddittorio delle parti». Ogni volta che si costringe una persona a ripercorrere ciò che ha subito si infligge un aggravio di sofferenze che potrebbe essere dannoso non solo alle parti lese, ma pure alle indagini e ai successivi processi, col rischio di introdurre contraddizioni nei racconti e ostacolare la raccolta delle prove.

I dubbi di Russo e Roia

Gli «effetti distorsivi e controproducenti rispetto alle finalità perseguite» sono sottolineate anche dal procuratore aggiunto di Bologna Lucia Russo, secondo cui «la necessità di non procedere con immediatezza alla verbalizzazione della vittima potrebbe essere determinata da esigenze investigative e non di riservatezza». Inoltre capita spesso che la persona offesa, convocata in tutta fretta, neghi o mostri «totale mancanza di collaborazione a causa di una “dissonanza cognitiva” in ordine alla propria condizione di vittima», come insegna l’esperienza di chi si occupa di questi casi. Se tutto ciò si riversasse in dichiarazioni formalizzate, bisognerebbe poi inquisire le vittime per false dichiarazioni al pm.
Il presidente della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Milano Fabio Roia ha segnalato il valore «solo simbolico» del nuovo obbligo, spiegando che ci possono essere molte ragioni per non raccogliere subito le dichiarazioni delle parti offese. Come gli altri magistrati, anche Roia ha sottolineato molti aspetti positivi soprattutto del disegno di legge Ascari che interviene in maniera più strutturale e «sistemica» sull’intera materia, superando la logica dell’intervento a fini di propaganda. Che invece sembra ispirare lo spot governativo sul «codice rosso».

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