22 marzo 2019 - 21:00

Farinetti: «Dopo il cibo sano torno all’antico amore: l’elettricità»

L’imprenditore: «Sto costruendo Green Pea con le foreste spazzate via dall’alluvione»

di Stefano Lorenzetto

Farinetti: «Dopo il cibo sano torno all’antico amore: l’elettricità»
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Dal Fico al Pisello. Il ciclo vegetale di Oscar Farinetti, artefice di marchi internazionali che al tubo di scappamento ha sempre preferito quello digerente, non conosce inverno. Germinato nel 2007 a Torino con Eataly, fiorito dieci anni dopo a Bologna con la Fabbrica italiana contadina, maturerà nel 2020 ancora a Torino con Green Pea, «perché il pisello è rotondo come la Terra ed è verde, e a noi restano solo 20 anni per salvare la vita del pianeta», profetizza l’imprenditore. Stavolta niente scaffali traboccanti di leccornie made in Italy, niente parchi tematici agroalimentari, niente insegne gastronomiche. Farinetti torna all’antico amore: l’elettricità. Nel 2002 aveva venduto al gruppo britannico Dixons la catena Unieuro, che comprendeva Trony, per 528 milioni di euro: «Avevo capito che il mercato dell’elettronica e degli elettrodomestici stava mutando radicalmente. E poi, le dirò, ogni 10-12 anni mi stufo di quello che sto facendo. Del cibo ora si occupano i figli. Io passo alla terza grande avventura della mia vita». In Green Pea di verde resterà il logo, il pisello appunto, e la filosofia: 15.000 metri quadrati costruiti con il legno delle foreste che Antonio Stradivari utilizzava per i suoi violini, spazzate via dal tornado che a ottobre devastò il Bellunese.

Che cosa venderà stavolta?

«Primo piano: veicoli a energia pulita, quindi elettrica, solare, a biometano, a idrogeno. Secondo: mobili ecologici. Terzo: abbigliamento in fibre naturali. Quarto: ancora vestiti, ristorante, bistrot e bar. Quinto: dopo quattro piani di negozio, l’ozio. Per 50.000 associati che ci credono. Con la piscina, il giardino pensile, le margherite fotovoltaiche e le pale eoliche disegnate da Renzo Piano».

Basta che i 50.000 eletti paghino.

«Basta che amino l’ambiente. In Norvegia chi non fa la raccolta differenziata dei rifiuti è percepito come un disadattato. Dobbiamo rendere attraenti i comportamenti virtuosi».

Al suo amico Matteo Renzi aveva suggerito di rendersi più simpatico.

«Sono infinitamente meno le cose che ha sbagliato da premier di quelle che ha centrato, ormai è sotto gli occhi di tutti».

È un raffronto con il premier attuale?

«Guardi, l’altrieri mi sono scoperto a parlare bene di Silvio Berlusconi, non le dico altro. Rimpiango il suo progetto per il ponte sullo Stretto di Messina. E sono totalmente a favore della Tav».

Farinetti presidente del Consiglio.

«Non saprei farlo. Renzi mi offrì il ministero dell’Agricoltura. Rifiutai: mi sentivo inadatto. Ma poi perché vuole retrocedermi? Eataly ha 42 negozi in 15 nazioni, dagli Usa al Giappone, dalla Svezia all’Arabia, dal Brasile alla Corea del Sud. Ogni giorno vende 800.000 prodotti italiani e mette a tavola 350.000 persone».

Lo sente ancora, Renzi?

«Meno che in passato. Ma continuo a stimarlo. Gli ho mandato un sms di solidarietà per l’arresto dei genitori. Non posso credere a ciò che leggo. Matteo è di un’onestà totale, anzi di più. E siccome dai frutti si riconosce l’albero...».

Lei è iscritto al Partito democratico?

«Mai avuta la tessera. L’unica che ho in tasca è quella dell’Anpi, perché mio padre Paolo fu comandante partigiano, anche se non fece fucilare nessuno. Però ho sempre votato per il Pd».

E alle primarie su chi ha puntato?

«Con mia moglie e il figlio maggiore ci siamo suddivisi i compiti: un voto a testa per Zingaretti, Martina e Giachetti».

Ma lei dal 1980 al 1982 non fu segretario del Psi ad Alba?

«C..., che segugio! Come l’ha scoperto? Purtroppo tre anni fa ho perso il portafogli nel cesso di un autogrill. Dentro c’era la tessera socialista di mio padre, nenniano, firmata da me e da Bettino Craxi come segretario nazionale. E sono stato pure direttore di Avanti Langhe! Ero nel Psi perché mio padre era nel Psi. Tifavo Juve perché mio padre tifava Juve. Da bambino, quando mi chiedevano che cosa volessi fare da grande, rispondevo: mio papà. Per me era Nembo Kid, Batman e Superman nella stessa persona».

Eataly non ha prezzi molto di sinistra.

«Suggerisco di comprare la metà di cibi che costano il doppio. Spendi uguale. Rallenti la masticazione per gustarli. Avverti prima il senso di sazietà, ergo dimagrisci. E non butti niente. Lo sa che il 40 per cento degli alimenti si spreca?».

Che cosa ha mangiato a mezzogiorno?

«Mezzi paccheri al ragù e polpette. Su 47 ristoranti che ci sono qui a Fico, non ero mai stato in uno di carne».

Il suo primo ricordo legato al cibo?

«Il pane raffermo inzuppato nel caffellatte che nonna Teresa ci preparava per cena. Per me equivale alla madeleine di Proust. A volte me lo mangio ancora».

Il piatto che la manda in estasi?

«Quello che troverò stasera. Ho un’unica preferenza: la cosa più buona».

Spadella qualche volta?

«Sì, ma non mi piace ciò che cucino. È più brava mia moglie Graziella. Mi nutre da 41 anni. Merita le tre stelle Michelin».

Colesterolo? Trigliceridi? Glicemia?

«Valori accettabili, dice Graziella».

Si è mai ubriacato?

«No. Però ieri sera ci sono andato vicino. Barolo del 2014 e tortellini secondo la ricetta classica: sfoglia con 30 tuorli d’uovo tirata a mano; mortadella, prosciutto crudo e parmigiano nel ripieno. Brodo di cappone e bovino. Appena affiorano, spegni il fuoco, metti il coperchio e lasci riposare per 150 secondi. Divini».

Come sceglie i prodotti da vendere?

«Li voglio buoni, puliti, giusti. Non basta che soddisfino il palato. Devono essere privi di additivi chimici e avere un prezzo equo, che remuneri tutti gli attori della filiera, in primis i contadini».

Ho visto Bernardo Caprotti, fondatore di Esselunga, masticare i piselli crudi per accertarsi della loro qualità.

«Bravo. Concordo. Capiva di cibo».

Diceva di lei: «Un chiacchierone formidabile che ottiene tutto gratis e pretende di spiegare a me che cos’è il food».

«Diceva una cretinata. Io non parlo di chi non conosco. È grave dare giudizi su persone che non si sono mai incontrate. A Torino ho speso 18,5 milioni di euro per restaurare l’ex edificio della Carpano, che il Comune mi ha concesso per 60 anni. Ho pagato gli oneri di urbanizzazione, assunto 300 persone, organizzato corsi di educazione alimentare. A Bologna tre periti indipendenti hanno valutato 55 milioni l’area Caab trascurata da anni, noi privati ne abbiamo messi 120. Ci abbiamo costruito sopra Fico, da cui il Comune incasserà il canone. All’Expo di Milano gli appalti erano diretti. Eataly ha sborsato 2 milioni per starci sei mesi, l’affitto più alto, pur disponendo di un’area inferiore rispetto agli altri concorrenti che davano cibo ai visitatori».

È vero che i cinesi entrano in Eataly?

«Siamo mondiali. E se fossero gli arabi? Più difficile: non bevono vino».

Non è un adulterio? Dalla Cina arrivano «parmesan» e pomodoro taroccato.

«Che fico! Se ci copiano, significa che siamo bravi. Ma i peggiori sono gli imitatori nordamericani. In Canada spacciano la mortadella per crudo di San Daniele».

Non doveva quotarsi in Borsa?

«Queste cose le decidono il presidente Andrea Guerra e Gianni Tamburi, che detiene il 20 per cento di Eataly. Secondo me conviene aspettare tempi migliori. Non abbiamo bisogno di soldi».

Lei è nato ad Alba, come la Ferrero. Che cosa pensa degli ovetti Kinder?

«Penso ogni bene possibile di tutto ciò che reca il marchio Ferrero, l’azienda che ha traghettato le Langhe dalla malora al benessere. Di giorno stavamo nei campi, di notte andavamo a riposare lavorando sodo nella fabbrica del cioccolato».

Secondo Aldo Grasso, la sua tattica retorica è quella di dare ragione a tutti.

«Non per paraculaggine. È che mi piace cogliere il bello che c’è negli altri».

In tv non si spignatta un po’ troppo?

«Non amo gli chef divi che inseguono lo show. Ma i Cracco, i Cannavacciuolo, i Barbieri cucinano da dio. Gianfranco Vissani sa mettere a tavola 4.000 persone, crea grandi piatti senza neppure assaggiarli, ha il sapore nel cervello».

Perché sostiene che il marketing l’ha inventato la gallina?

«Perché fa l’uovo e dice coccodè; il contadino la sente e va a raccoglierlo. Invece il tacchino non parla e nessuno se lo fila. L’idea è molto piaciuta a Philip Kotler, il guru del management. Il mio mito. Ha quasi 88 anni. Ha parlato per due ore filate qui a Fico. Ci ha seppelliti tutti».

Giovanni Nuvoletti, accademico della cucina, marito di Clara Agnelli, mi disse che l’uovo è il cardine della tavola.

«Eh, be’! Non per nulla lì fuori c’è un pollaio con 100 galline che forniscono la materia prima alla Locanda dell’uovo».

Non è una civiltà gastrica, la nostra?

«Spendiamo un quarto per il cibo e i restanti tre quarti per ciò che sta fuori dal corpo. In Italia i consumi ammontano a 750 miliardi di euro, di cui 120 per i pasti in casa e 60 per quelli al ristorante. Dovrei prendermela con il buon Dio che ha connesso l’orgasmo a due attività, fare l’amore e mangiare, fondamentali per la prosecuzione della specie?».

Cita Dio, ne deduco che non è ateo.

«Lo sono abbastanza tanto, invece. Però mi piace discutere di religione con don Umberto Ciullo, parroco di Roveleto di Cadeo, nel Piacentino. È il mio direttore spirituale. O con don Luigi Ciotti».

È ufficiale: Farinetti non è ateo.

«Nel 1969, in piena rivoluzione, andai dal parroco del duomo di Alba, don Valentino Cattaneo. Avevo 15 anni e la testa piena di Mao e di Psiup. Gli dissi: non so mica se Dio esiste. Lui mi rispose: “Esiste, esiste. Nel frattempo, tu che non ci credi più continua a comportarti bene”».

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