6 giugno 2021 - 07:31

Renzo Montagnani e la tragedia nascosta: quei film di serie B per poter pagare le cure al figlio malato

Interprete delle commedie sexy anni Settanta, subì critiche feroci. Edwige Fenech: «Ne soffriva, avrebbe meritato di più. Un padre pieno d’amore e di dolore»

di Walter Veltroni

Renzo Montagnani e la tragedia nascosta: quei film di serie B per poter pagare le cure al figlio malato
shadow

Per molto tempo Renzo Montagnani, attore italiano di vaglia, è stato irriso dalla critica, dal mainstream di un periodo in cui il cinema o era impegnato o non era, o era di sinistra o non era. Il suo cinema degli anni Settanta — fatto di commedie sexy che oggi sembrano l’edizione dinamica del catalogo Postalmarket o delle castissime, ingenue parodie delle convenzioni pruriginose dell’Italia bigotta — è stato a lungo additato come il peggio del peggio, come un insulto alla cultura cattolica e a quella della critica del capitalismo. Quei film erano invece la prosecuzione del varietà, quello che precedeva o seguiva le proiezioni in tanti cinema italiani, quello di Polvere di stelle, quello che ha fatto grande e popolare il teatro italiano per molto tempo. Il varietà di Totò, Sordi, Chiari, Dapporto, Macario. Il varietà fatto di meravigliosi giochi di parole, di scambi di persona, di gag e parodie. Su quei palcoscenici un grande attore come Lino Banfi, o i suoi amici Franchi ed Ingrassia, hanno fatto scuola, sperimentato la rudezza del pubblico, maturato la velocità delle battute. Indimenticabile descrizione del varietà è quella di Fellini in Roma, con il dialogo ininterrotto tra i guitti e un pubblico geniale, non meno spiritoso di chi doveva, per contratto, far ridere. Ha detto una volta Montagnani: «Il talento non è solo quando fai Shakespeare, sai! Shakespeare è facile, la cosa più facile al mondo... Dici: “Onesta come le mosche che gremiscono i macelli folleggiando anche col vento...”. Lo dici come lo sto dicendo a te e la gente applaude, sbava rispetto, si commuove... È farsi apprezzare dicendo “che bel sedere” che è difficile».

È stato il cruccio della sua vita. Quello che ha rivelato in un intervento addolorato in un convegno di attori nel 1977: «Io mi ritengo l’ultimo in graduatoria, anche se venisse fuori qualcun altro nuovo, io resterei sempre l’ultimo. Un critico, un giorno, ha scritto di me “attore da bordello”... Io ho sofferto tanto perché non mi sento affatto un attore da bordello, mi sento un attore che ha alle spalle ventiquattro anni di professione seria...».

C’è una verità nascosta, nella vita e nelle scelte lavorative di Renzo Montagnani. Lui faceva quei film, che rispettava ma non amava, soprattutto per ragioni economiche. Doveva pagare le spese di cura per suo figlio malato, quell’unico figlio che amava e che lo faceva soffrire. Mai il teatro gli avrebbe dato i soldi che uno solo di quei film sapeva garantire. Tutto per suo figlio. Tutto per Daniele. «Per come ho vissuto, certe cose gliele avrei trasmesse, a mio figlio. Gli avrei insegnato la dolcezza, per esempio. E a piangere, a commuoversi, a comprare un mazzo di fiori...».

«Lui ha sofferto per non aver fatto una carriera diversa, pensava di meritare di più. Diciamoci la verità: gli davano soddisfazione i ruoli più colti» mi dice Edwige Fenech, compagna di tante pellicole e donna di grande sensibilità e intelligenza. «Gli volevo molto bene, era un uomo di estrema sensibilità. Era capace di piangere o di commuoversi per i gesti di affetto nei suoi confronti. Voleva molto bene a mio figlio, che allora era piccolo. Lo trattava da grande, come fosse un suo amico. Renzo aveva un fondo di tristezza. Amava enormemente Daniele. Mi parlò della situazione di suo figlio, ma lo faceva poco, con grande sofferenza e facendo forza alla sua discrezione. Sentivo che per lui era una cosa terribile. Era un padre pieno di amore e di dolore. Renzo era un orso buono. E nonostante il suo fardello di dolore, con lui non si smetteva di ridere mai».

Maurizio Costanzo, che con Renzo ha lavorato per un programma radiofonico e per una rubrica televisiva, dice che era un personaggio da Amici miei. «Aveva, insieme, quella allegria iconoclasta, quasi goliardica, e quel senso tragico che ci sono nel film». E ha ragione, perché il primo film di quella serie fu, per Renzo, ragione di dolore. Lui voleva la parte di Philippe Noiret, un francese che lui poi dovette doppiare... Ci restò male. Ma poi fu felice quando toccò a lui, nel secondo episodio, la parte del Necchi.

Ornella, Laura, Edwige, Barbara e Gloria: regine della commedia sexy all’italiana
Ornella Muti

Luigi Diberti, che ha recitato con lui in Metello di Bolognini, ricorda «un grande attore, con una forte preparazione classica e un marcato impegno civile». Montagnani sarà infatti protagonista di tante manifestazioni contro la guerra nel Vietnam e a sostegno di tutte le cause di libertà dei popoli. Paola Pitagora ricorda quando recitò con lui in Dialogoscritto da Natalia Ginzburg. «Non ci sopportavamo, all’inizio. Forse per colpa mia, forse per miei pregiudizi generati dai film che faceva. Il regista era costretto a girare la scena, due coniugi che a letto si rivelano la fine del loro rapporto, con i piani separati. Non potevamo incontrarci. Finché una volta fummo costretti a girare insieme e successe un miracolo. Lui era un attore fantastico e quel giorno sembravamo sposati da vent’anni. Da quel momento tutto cambiò. Mi raccontò di suo figlio e mi fece capire perché e come, in un essere umano, potessero convivere l’abisso e il sole, la tragedia e il sorriso. Ho rivisto recentemente un suo film Fiorina la Vacca e ho trovato Renzo bravissimo. Era un attore fantastico, sempre».

Lino Banfi ha lavorato in diversi film con Renzo: «Giravamo La moglie in vacanza e l’amante in città, eravamo a Courmayeur. La sera restavamo da soli, noi due, Ci divertivamo da matti, insieme. A lui piaceva quando io dicevo il mio "Porca Puttena” e a me quando lui si avventurava nella parola “Focaccia”, che alla fine era solo una ventata di vocali. Una sera mi confidò del figlio. E io capii perché ogni tanto affondasse nella vodka la sua tristezza e la sua ansia. Gli pesava che il suo talento non fosse riconosciuto, meritava certo di più dalla critica. Anche per quei film, che vengono rivalutati ciclicamente. Che lui faceva per i soldi, per suo figlio che era un ragazzo tanto forte quanto infelice. Quei film che rispettava, che vanno rispettati, non derisi».

Ha ragione Banfi. Capitò così con Totò, con Sordi, con gli spaghetti western, con Oronzo Canà di L’allenatore nel pallonee Mandrake di Febbre da cavallo. Quando il sopracciglio dei detentori della verità estetica si abbassa, anche il loro occhio riesce a vedere il bello che il pubblico, spesso puro popolo, ha già metabolizzato.

Renzo Montagnani è stato un grande attore e una grande persona. L’ho conosciuto che ero ragazzo e mi fece una grande impressione. Era una delle prime combinazioni di tristezza e allegria che mi fosse capitato di incontrare. Non sapevo perché, ma capivo che in quell’uomo c’era qualcosa di misterioso, di nascosto. Rideva e faceva ridere, ma lo faceva come per tirarsi fuori da un gorgo. A quei tempi Renzo presentava un programma televisivo di grande successo, si chiamava Milledischi. Sua partner era la più sensuale delle annunciatrici della tv, Mariolina Cannuli. Che oggi mi dice: «Non ho mai riso tanto in vita mia. Era spiritoso, intelligente, un compagno di lavoro ideale. Era riservato, molto sensibile, per me è stato padre, fratello. Tutto. Rideva e piangeva, aveva una vena devastante di tristezza che ogni tanto lo assaliva».

Mi sembra di vederlo, quest’uomo grande e solo. È stato il popolarissimo Fumino, il prete incazzoso con la sciarpa rossa, la voce indimenticabile di Romeo, er mejo der Colosseo. Ed era capace, nella stessa giornata, di interpretare il protagonista di L’insegnante balla con tutta la classee la sera di andare in scena con La coscienza di Zeno.

Renzo Montagnani e la tragedia nascosta: quei film di serie B per poter pagare le cure al figlio malato

Montagnani veniva da una famiglia umile: il padre Guido ferroviere, di Prato, e la madre ventiduenne Elvezia, di Stradella, che lo partorisce in casa, ad Alessandria, in una data fatidica, l’undici settembre. Ma del 1930. Renzo cresce con la passione del teatro e quando le cose della vita lo riportano nella Toscana che lui sentirà sempre come la sua terra, comincia a recitare nel teatro dell’Affratellamento, nome meraviglioso, che è ospitato nella sede di una Società di Mutuo soccorso di Firenze. Nel frattempo, lasciata la scuola in terza media, fa il commesso in una merceria, poi operaio nella produzione di bulloni, poi commesso in una farmacia. Quell’Italia che rinasce dalle macerie non è un pranzo di gala. Tutto è fatica, sacrificio, lotta del talento per affermarsi. Roba di carattere e di testardaggine. Montagnani esordisce in teatro in un ruolo nel Barbariccia di Sergio Tofano. Il suo personaggio non deve mai parlare. Ma nel 1953, Renzo ha ventitrè anni, tanto basta. Un bel libro di Damiano Colantonio traccia il percorso di Montagnani, tra teatro classico e operetta, venti anni a spezzarsi la schiena sulle tavole del palcoscenico, tra Pirandello e Shakespeare, Goethe e la Ginzburg. Anche un po’ di cinema, quello impegnato.I sogni muoiono all’albadi Indro Montanelli sulla tragedia ungherese del 1956 e I sette fratelli Cervi di Gianni Puccini. E poi in televisione conIl Mulino del Po e i Caroselli Chlorodont, in cui interpreta Lindo Sorridenti. Nel 1963, mentre tutto sembra sbocciare nella sua vita, mentre sta interpretando Brecht in teatro, la moglie, una ballerina delle Blue Bells, gli regala il figlio che volevano, Daniele.

Ma il bambino non riesce a uscire dal ventre della madre e i medici usano il forcipe. Non sa parlare e per tutta la vita questa sua impossibilità di esprimersi determinerà in questo ragazzo bellissimo, alto e biondo, la furia di una violenza incontrollabile. Fragile e disperato, Daniele cresce bisognoso di cure e ricoveri. Morirà nel 2004, a 41 anni, di tumore, come il padre. Che se ne è andato nel 1997, sette anni prima di Daniele.
Sui muri della sua casa Renzo aveva scritto «Non bisogna mai smettere di ricominciare».
Non ha avuto paura di vivere, ha riso e pianto.
Renzo Montagnani è stato un uomo vero.
E, credo sia giusto finalmente dirlo, un grande attore italiano.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
ALTRE NOTIZIE SU CORRIERE.IT