Corrado Ferlaino: «Mentre il Napoli festeggiava ero sulla tomba di Maradona. A 92 anni guido ancora l’auto e mi sono appena fidanzato»

di Monica Scozzafava

L’ex presidente: «Io mai in ferie né in pensione. Ho venduto Zoff perché lui non amava la città». Denaro e futuro: «Ho guadagnato tanto ma ho speso di più. Penso alla morte
però ho molti progetti»

Corrado Ferlaino: «Mentre il Napoli festeggiava ero sulla tomba di Maradona. A 92 anni guido ancora l’auto e mi sono appena fidanzato»

Corrado Ferlaino, 92 anni, il giorno del secondo anniversario della morte di Maradona

Cinque donne e cinque figli, un numero indefinito di tradimenti e mai un rimpianto. «Alla fine le mie compagne capivano lo spirito di scappatelle che tutto sommato non avevano tanto senso, spesso sono stato perdonato» giura Corrado Ferlaino, 92 anni compiuti a maggio scorso e una nuova fidanzata. Il presidente più vincente della storia del Calcio Napoli — pantaloni di cotone bluette, camicia a righe azzurre e bianche e l’immancabile pull blu scuro appoggiato sulle spalle, unica cautela rispetto all’età — ci aspetta a «La Caffettiera» nel salotto di Napoli, in piazza dei Martiri, quartiere Chiaia. Sente familiare quello slargo dove s’impone lo storico palazzo che fu sede del suo Napoli, per 33 anni. «Non mi chiami presidente, però. Ero e resto un ingegnere ancora in piena attività» premette mentre saluta i tanti che lo ancora lo riconoscono e che ancora gli chiedono una foto insieme.

Come è arrivato qui, ingegnere?
«Con l’auto, come vuole che arrivi da Posillipo, dove abito? Si sta forse chiedendo se alla mia età ancora guido? Certo che sì, e do anche qualche accelerata se la strada lo consente. Sono stato pilota automobilistico, ho vinto qualche circuito». Sono le 10.30 di una domenica di inizio settembre, Corrado Ferlaino racconta che come sempre si è svegliato alle 6.30, ha fatto colazione e poi un’ora prima del nostro appuntamento si è messo in macchina. Al cameriere chiede un tè («non bevo caffè») si guarda attorno con quell’espressione circospetta di quando, ai tempi d’oro, in questa stessa piazza doveva schivare giornalisti e fotografi. Non ha mai avuto un rapporto sereno con la stampa.

Ha letto i giornali?
«Sì, il Corriere della Sera e il Mattino di Napoli. Leggo prima le pagine di politica. Poi arrivo a sfogliare quelle di sport. Un tempo facevo il percorso inverso. Lei cosa ne pensa di questo governo?».

Mi dica cosa ne pensa lei, piuttosto.
«Giorgia Meloni è l’immagine di donna compiuta, risolta. Mamma, compagna e grande lavoratrice. Posso essere d’accordo o meno con le sue idee ma le riconosco concretezza. È da sola, però. Salvini vuole fare Berlusconi ma non lo è e mai lo sarà. Tajani più o meno la stessa cosa. L’Italia ha perso un grande imprenditore e politico».

Lei è stato un imprenditore, proprietario di una società di calcio e un costruttore.
«Sono un ingegnere, anche molto capace. Ogni mattina vado in ufficio e lavoro fino alle 14. Non vado in pensione e neanche in vacanza. Mio padre mi ha insegnato che non si può delegare. Il primo cantiere l’ho visto che avevo 11 anni».

Un bimbo, praticamente.
«Mio padre costruiva in piazza San Leonardo al Vomero e io quando potevo evitare la scuola ci andavo. Non sono stato uno studente modello, però».

In che senso?
«Appena potevo facevo filone, anzi una volta non sono andato a scuola per un mese di fila. I professori chiamarono mia madre e lei a quel punto mi accompagnava tutte le mattine. La fregavo: entravo con lei e uscivo da un altro ingresso».

Ha sposato 5 donne.
«Eh no, tre sono state le convivenze. Due matrimoni potevano bastare. Costano sa, i matrimoni».

Cinque figli.
«Sì, Giulio e Tiziana dalla prima (Flora Punzo, ndr), Luca e Cristina dalla seconda (Patrizia Sardo) e poi Francesca, nata dall’unione con Patrizia Boldoni, una mezza scienziata. Spero possa vincere il premio Nobel. È a capo del dipartimento di Fisica quantistica all’Università di Innsbruck. Spesso vado a trovarla. Non faccio vacanze ma ogni tanto mi piace allontanarmi per qualche giorno. Parigi è la mia seconda casa».

Come mai?
«Città meravigliosa, poi io parlo bene il francese. È una specie di rifugio. Ci andai anche quando coinvolto nell’inchiesta Tangentopoli volevo sfuggire all’arresto».

Pensava di farla franca?
«Ma non avevo fatto nulla e infatti fui assolto. Ero vittima di una concussione ma in quel momento fuggire fu istintivo. I miei avvocati mi consigliarono di tornare e ammettere che avevo dato soldi a un politico, a quei tempi era la prassi».

Chi era il politico?
«Lasciamo stare».

Crede in Dio?
«Direi di no, ma se poi la Madonna e i Santi si dispiacciono? Nel dubbio dico di sì. Ma poi quando sarò dall’altra parte faccio una telefonata e lo dirò».

Ha paura della morte?
«Ci penso tutti i giorni. So che è una cosa che dovrà accadere. Ma ho ancora tanti progetti».

Ce ne dica uno.
«Un libro in cui raccontare chi sono stato e cosa ho fatto. Vorrei scriverlo per essere ricordato dai miei figli per quello che sono stato veramente. Per essere rispettato da loro».

Maradona, un suo figlio aggiunto.
«Per portarlo a Napoli da Barcellona ci vollero 13 miliardi, e tutto nacque per caso. Misi a soqquadro il Banco di Napoli. Il presidente dell’ente Federico Ventriglia mi accordò la fidejussione, salvo poi ripensarci perché in città c’era stata una sollevazione popolare. Provò a bloccarla, ma io fui più lesto. Ero già andato in banca a prendere il documento ed ero partito. Un’operazione che costò il licenziamento della persona che materialmente mi aveva consegnato il documento».

Iuliano fu lo stratega.
«Sì, da calciatore mi chiedeva un sacco di soldi, da dirigente imparò a risparmiare»

Quanta pena le ha dato Diego, al netto degli scudetti?
«Faceva uso di sostanze e io lo sapevo. Sono andato tante volte a casa sua perché non si presentava al campo. Dormiva e stava ridotto male, ma poi gli bastava un po’ di recupero e ci faceva vincere le partite anche se non si era allenato».

Promise di venderlo al Marsiglia poi si tirò indietro.
«Diego ha detto una grande bugia, non avrei venduto mai il migliore, nè i più bravi».

Ma ha venduto Zoff.
«Un portiere lo si trova sempre, e poi lui non amava abbastanza Napoli».

A maggio è andato in Argentina sulla tomba di Diego.
«La città festeggiava lo scudetto ed io ero in un giardino grande a Buenos Aires. Sono stato lì due ore, gli ho parlato. Abbiamo festeggiato insieme».

Guarda ancora le partite del Napoli?
«Sì ma solo il primo tempo, come quando ero presidente. Un po’ per scaramanzia, ma oggi perché ho due pacemaker e devo salvaguardare il cuore».

Quanto ha guadagnato nella sua vita?
«Molto, ma ho sempre speso di più».

L’ingegnere fa ancora qualche foto, si accorge che il conto del nostro caffè è stato già pagato. L’uomo, 50 anni si presenta. «Sono un piccolo industriale e da lei ho imparato tanto. Lei ha guardato avanti». Ferlaino ringrazia, si avvia verso l’auto e sorride.

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7 settembre 2023 (modifica il 7 settembre 2023 | 01:00)