25 agosto 2018 - 20:05

«Il Vesuvio universale»
Sotto il vulcano ci siamo noi

Goethe lo sfidò, Leopardi lo interrogava. Oggi la montagna racconta l’Italia. Il 28 agosto esce per Einaudi il libro di Maria Pace Ottieri che ne esplora gli aspetti storici e naturali

di CORRADO STAJANO

Fabrízio Matos (Figueira da Foz, Portogallo, 1975), Vesuvio (2006, tecnica mista su tela), courtesy dell’artista Fabrízio Matos (Figueira da Foz, Portogallo, 1975), Vesuvio (2006, tecnica mista su tela), courtesy dell’artista
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Insolito e molto bello questo libro di Maria Pace Ottieri, Il Vesuvio universale che sta per uscire da Einaudi. Narrazione tra passato e presente, cronaca viva, poesia, storia, antropologia, reperto archeologico, inchiesta, memoria. Il vulcano più pericoloso d’Europa, vivo e vegeto, è il protagonista, insieme con la scrittrice dall’io avaro e mascherato, un folletto, un fantasma, meglio, che appare qua e là con piccole parole essenziali per la trama del libro.

Il vulcano è il mondo, popolato dai destini di uomini e di donne coraggiosi, indifferenti, balzani, crudeli, senza modelli, illuminati dal leopardiano «baglior della funerea lava».

«Il Vesuvio universale» di Maria Pace Ottieri esce il 28 agosto per Einaudi nella collana Frontiere (pagine 279, euro 19,50)
«Il Vesuvio universale» di Maria Pace Ottieri esce il 28 agosto per Einaudi nella collana Frontiere (pagine 279, euro 19,50)

Impauriti dal loro vivere sull’orlo di un precipizio? «A me piace saperlo vivo, guai se mi svegliassi una mattina e sentissi dire che il Vesuvio si è spento, non è più pericoloso. Mi verrebbe l’angoscia», dice un abitante di Torre del Greco. Con lui i più tra gli interpellati sentono come cosa loro quel monumento di morte che gli pesa addosso. Finzione, esibizione, tremore ben celato, orgoglio, la precarietà della vita con i suoi terrori, la paura accantonata in un angolo del cuore? Le esplosioni, un gioco mortale, del «formidabil monte/ sterminator Vesevo», viste soltanto come date incise su una lapide di marmo? L’eruzione del 79 d.C., la morte di Plinio il Vecchio, narrata dal nipote Plinio il Giovane, e più di un millennio dopo l’eruzione del 1631, e tre secoli a venire l’eruzione del 1944. Senza contare i segni intermittenti, dopo il terremoto del 1980, ad esempio, quando il suolo della Solfatara attorno a Pozzuoli seguitava a sollevarsi, 60 centimetri in dieci mesi, e quando, nel 1984, le scosse furono 500 in 5 ore e creò angoscia la dissennata pubblicazione sui giornali della bozza segreta di un «Piano di emergenza ed evacuazione nella ipotesi di evento eruttivo nella zona flegrea». Che cosa accadrebbe se la «vetta fatal» esplodesse? Dove fuggirebbe, da quali strade, più di un milione di persone? L’unica via di fuga è infatti la strada statale n.268.

Maria Pace Ottieri
Maria Pace Ottieri

Chissà come si sente chi abita affacciato sugli scheletri di Ercolano. Maria Pace Ottieri, viaggiatrice instancabile, è andata a vedere per capire che cosa significa vivere nella «zona rossa», nella «zona gialla», nella «zona blu». Ha letto tutti i libri, è entrata nei bar, nei conventi, nei palazzi, nelle masserie, nei casali, nelle aziende, nelle antiche regge ora cadenti, ha incontrato i venditori di stoccafisso, i facchini del porto, le principesse, i vulcanologi, i geologi, gli archeologi, i sismologi, i pescatori, gli storici, gli etnomusicologi, gli antropologi, Roberto De Simone, «’O Maestro Populare» e con lui i cantori, dalla voce possente e duttile come la lava: la «tamurriata», le «fronne ’e limone», un cantar di gola, «in falsetto, facendo tremolare la voce, come tremola al vento la foglia di limone».

Un’erede del Grand Tour settecentesco, ottocentesco, Maria Pace Ottieri. Anche Goethe, il 2 marzo 1787, passò di qui, «immerso tra i vapori del vulcano, così fitti che arrivava appena a vedersi le scarpe». Con la guida lo scrittore vuol salire al cratere «quando all’improvviso una tremenda esplosione li scavalca, sfiorandoli. Cadono pietre, crepitano i lapilli, stavolta è la guida che trascinando l’impavido tedesco si precipita in discesa fino alla base del cono, i cappelli e le spalle impolverate, le facce color della cera».

Maria Pace Ottieri è più fortunata, il suo, poi, non è un viaggio in Italia com’era di moda un tempo tra i viaggiatori stranieri. La sua ricerca non esce dal regno del Vesuvio, dall’Osservatorio Vesuviano alla villa delle Ginestre e a Torre del Greco dove Leopardi, tra il 1836 e il 1837, scrisse La ginestra e Il tramonto della luna, allo spaventevole paesaggio di case abusive che hanno distrutto l’antica bellezza del «Miglio d’oro», tra Portici e Pompei, un centinaio di ville, una meraviglia del mondo. Ora uno sfacelo.

«Più i miei occhi vedono, più le mie orecchie ascoltano e più, come nell’insorgere di una malattia — annota la scrittrice — sono presa da una crescente smania di sapere quando il primo germe ha cominciato ad annidarsi, quando ha avuto inizio la devastazione sistematica di questi luoghi».

Le risposte sono le solite. «La sprezzante indifferenza italiana delle regole; e ancora l’idea che l’unica figura che fa il bene del popolo sia un capoclan, una persona ricca e generosa che offre protezione e complicità». E poi: «L’onnipotente convinzione che lo Stato sia estraneo e nemico (...) induce a pensare che l’unico modo di essere un vero cittadino sia quello di trasgredire. Solo nella trasgressione un italiano si sente all’altezza dello Stato».

Pare che Maria Pace Ottieri provi l’angoscia di perdere qualcosa da vedere, da sentire. Cammina cammina. Luoghi e persone. I tre milioni di turisti che arrivano ogni anno a Pompei; la Circumvesuviana; le memorie borboniche; il volontario agli scavi di Somma Vesuviana «con una piccola testa ricciuta da imperatore romano»; la statua di Dioniso; gli orci da vino romani, i dolia; Tonino ’O Stocco, contadino, ora operaio all’Alfa Sud di Pomigliano, costruttore e sonatore di tamorre, il tamburo rotondo; la pasta di Torre Annunziata — erano un centinaio i pastifici nel secolo scorso distrutti dalle nuove macchine a ritmo continuo; i coralli e i cammei di Torre del Greco; gli zezi, un gruppo di cantori operai che intonano la nenia «nun fate la pecora perché ’a Fiat ti mangia»; il desolato lamento di un operaio: «Ormai il lavoro vale meno della merce, eppure l’Alfa Sud ha costruito sei milioni di automobili, ma non sono niente. Con i miei compagni di allora ci diciamo: era questo il futuro per cui abbiamo lottato?».

Maria Pace Ottieri non risparmia passione e fatica. Non lascia nulla all’immaginazione, il suo libro è anche una lezione a quei giornalisti, non pochi, che fondano le loro inchieste su quel che gli dice il tassista del posto dove approdano, oltre alle notizie trovate in internet.

’N coppa ’o Vesuvio la scrittrice riempie la sua bisaccia di fatti veri piccoli e grandi. La diceria sull’enorme danno che «la campagna diffamatoria sulla Terra dei fuochi ha inferto agli agricoltori»; la scoperta fatta nei primi anni Novanta del secolo scorso che «i rifiuti erano oro», i traffici tra Nord e Sud più redditizi della droga che abbonda nell’indegna complicità di interi paesi; il mercato delle pezze di Resina; le emozionanti scoperte degli archeologi; e poi la camorra spuntata violentemente, o mai morta, subito dopo il terremoto del 23 novembre 1980, la camorra ricca che si è costruita sul Vesuvio le ville foderate d’oro e quella di basso rango con il compito di uccidere.

Tra Ottaviano, San Giuseppe Vesuviano, Boscotrecase, Bosco Reale, Torre del Greco, Portici, Torre Annunziata, Anastasia, Pompei, Maria Pace Ottieri ha vivisezionato un mondo. Chissà se da tutti quegli inferni che ha visto è riuscita, alla fine del suo libro, a riveder le stelle.

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