26 aprile 2018 - 21:14

Gramsci e l’addio al comunismo
che non poté condurre a termine

Moriva 81 anni fa il pensatore sardo che, dopo le critiche a Stalin e lo scontro
con Togliatti, nei Quaderni del carcere prese le distanze dalle visioni totalitarie

di FRANCO LO PIPARO

Palmiro Togliatti parla a una manifestazione del Pci (a sinistra il ritratto di Gramsci) Palmiro Togliatti parla a una manifestazione del Pci (a sinistra il ritratto di Gramsci)
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A costruire un Gramsci immaginario iniziò Palmiro Togliatti con l’articolo pubblicato nel 1937 su «Lo Stato Operaio» per commemorare il compagno da poco scomparso. Le falsità dette nell’articolo sono incredibilmente numerose. Gramsci è «figlio di contadini poveri» (il padre era impiegato comunale, la madre casalinga alfabetizzata), «si sente l’influenza esercitata su di lui dalle opere di Stalin» (Gramsci entra in carcere dopo aver criticato la repressione stalinista), dal carcere «lanciò la parola d’ordine: Trotski è la puttana del fascismo» (fu Gramsci ad essere sospettato di trotskismo), «non è stato l’intellettuale, lo studioso, lo scrittore (…), prima di tutto è stato ed è uomo di partito» (se fosse così, non sarebbe tanto studiato e discusso), il Pubblico Ministero durante il processo ha detto «Per vent’anni, dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare» (nessuno pronunciò quella frase), morì in carcere (morì nella clinica romana Quisisana frequentata dalla buona borghesia).

Nessuno studioso oggi oserebbe sostenere tesi simili. Lo stesso Togliatti rimodellò più volte il Gramsci immaginario per adattarlo alla situazione politica del dopoguerra. A Yalta i vincitori della guerra avevano deciso che l’Italia rimanesse nella sfera d’influenza americana e Togliatti seppe con intelligenza politica trasformare l’originalità non marxista dei Quaderni gramsciani nel manifesto teorico della «via italiana al socialismo», formula con la quale il Pci praticò la socialdemocrazia usando retorica comunista.

Soffermiamoci sui Quaderni, opera sicuramente originale. I 33 che conosciamo sono stati scritti in sei anni: la prima pagina del primo Quaderno ha la data dell’8 febbraio 1929, l’ultimo Quaderno, tutto dedicato al concetto di grammatica, è stato scritto nell’aprile 1935. Dall’agosto di quell’anno fino alla morte (27 aprile 1937) Gramsci risiede nella clinica romana Quisisana e di quei due anni non possediamo né un appunto né una lettera rilevanti. Eppure il fratello Carlo, che lo vide più volte alla Quisisana, raccontò che «continuò a lavorare ai quaderni anche qui». È il buco nero più macroscopico della biografia gramsciana.

Da quale bisogno politico e esistenziale nasce la scrittura dei Quaderni? Gli studiosi li leggono come se fossero opere teoriche sistematiche. E se li leggessimo come diario di una crisi esistenziale e politico-culturale? Le lettere di quegli anni mostrano in maniera incontrovertibile un uomo che ha perso molte certezze e che va alla ricerca di una nuova bussola politica e filosofica che possa orientarlo nel mondo.

Nell’appunto del 1931 per una lettera alla moglie scrive: «Mi pare che se dovessi ora uscire dal carcere, non saprei piu orientarmi nel vasto mondo, non saprei più inserirmi in nessuna corrente sentimentale». Le «correnti sentimentali» sono le tre ideologie dominanti in quegli anni: comunismo, fascismo, liberalismo. In una lettera drammatica del 27 febbraio 1933 alla cognata Tania scrive in maniera estremamente chiara: «Certe volte ho pensato che tutta la mia vita fosse un grande (grande per me) errore, un dirizzone». «Prendere un dirizzone» in italiano vuol dire «prendere una cantonata o un abbaglio». Che cosa mai potrebbe essere l’errore-abbaglio di cui parla la lettera se non la scelta di vita che lo aveva portato in carcere?

I Quaderni sono scritti con questo stato d’animo. Un episodio accaduto poche settimane prima dell’arresto (8 novembre 1926) dà la chiave della crisi politica in cui si trova il Gramsci che entra in carcere. Gramsci è a conoscenza dei metodi repressivi usati da Stalin contro chi non era d’accordo con la sua linea politica. Il 14 ottobre 1926 invia una lettera a Togliatti, che risiedeva a Mosca, di critica di quella politica repressiva. È una lettera ufficiale del segretario del partito a un compagno gerarchicamente subalterno. Togliatti ha l’incarico di trasmetterla al Comitato centrale del partito sovietico.

Togliatti si rifiuta. «Non sono d’accordo con la lettera» – scrive il 18 ottobre a Gramsci che, otto giorni dopo, risponde in maniera molto dura: «La tua lettera mi pare troppo astratta e troppo schematica nel modo di ragionare. (…) Questo tuo modo di ragionare mi ha fatto una impressione penosissima. (…) Tutto il tuo ragionamento è viziato di ‘burocratismo’». Tredici giorni dopo, l’8 novembre, viene arrestato. In alcune lettere avanzerà il sospetto di essere stato tradito dal suo partito. Da quel momento rompe ogni contatto con Togliatti. Lo chiamerà «ex amico».

L’episodio aiuta a capire lo stato d’animo con cui sono scritti i Quaderni. Gramsci, quando viene arrestato, non è più il segretario del Partito comunista. Entra in carcere come segretario sfiduciato dal suo partito, da Stalin e dall’Internazionale.

Si faccia attenzione all’argomento del contendere tra Gramsci e l’Internazionale. Gramsci scrive di condividere la linea politica di Stalin. Il disaccordo non è sui contenuti. È più radicale. È sulla legittimità del dissenso. Coloro che dissentono non possono sentirsi – scrive a Togliatti – come «un reparto nemico imprigionato o assediato che pensa sempre all’evasione e alla sortita di sorpresa».

Il dissenso. È un tema che non fa parte dell’arsenale teorico marxista ma della cultura liberale. Su di esso ruota buona parte della riflessione di Gramsci in carcere e nelle cliniche.

I Quaderni vengono letti come l’opera che spiega i modi in cui un gruppo dirigente forma il consenso attorno a sé. Un potere politico e intellettuale a cui si consente liberamente, ossia senza costrizioni legali, Gramsci lo chiama egemonia.

La lettura leninista del concetto ha oscurato l’accezione liberale che il termine ha nei Quaderni. Se l’egemonia è un potere a cui si consente liberamente, da esso si dovrebbe altrettanto liberamente sempre potere dissentire. Lo dice chiaramente in vari luoghi non adeguatamente valorizzati. «L’egemonia, [...] presuppone una certa collaborazione, cioè un consenso attivo e volontario (libero), cioè un regime liberal-democratico» (Quaderno 6). Per questo l’egemonia, gramscianamente intesa, non può essere né unica né totalitaria: «c’è lotta tra due egemonie, sempre» (Quaderno 8).

Là dove l’egemonia diventa potere unico imposto dalla forza coercitiva dello Stato si hanno società illiberali. «Le strutture governative illiberali sono quelle in cui la società civile si confonde con la società politica, siano esse dispotiche o democratiche (ossia quelle in cui la minoranza oligarchica pretende essere tutta la società, o quelle in cui il popolo indistinto pretende e crede di essere veramente lo Stato)».

E ancora: «Una politica totalitaria tende: 1) a ottenere che i membri di un determinato partito trovino in questo solo partito tutte le soddisfazioni che prima trovavano in una molteplicità di organizzazioni, cioè a rompere tutti i fili che legano questi membri ad organizzazioni culturali estranei; 2) a distruggere tutte le altre organizzazioni o a incorporarle in un sistema di cui il partito sia il solo regolatore» (Quaderno 6).

I governi illiberali «dove esiste un partito unico e totalitario» sono destinati al fallimento. «Se non esistono altri partiti legali, esistono sempre altri partiti di fatto o tendenze incoercibili legalmente, contro i quali si polemizza e si lotta come in una partita di mosca cieca» (Quaderno 17). Detto in parole ancora più chiare: il dissenso è ineliminabile. Il riferimento alla Russia comunista mi sembra chiaro. Vi sembrano considerazioni marxiste? L’egemonia gramsciana non poggia sul consenso ma sulla coppia consenso/dissenso. I Quaderni anche per questo fuoriescono dal tradizionale paradigma marxista.

Gramsci muore quando la sua crisi è in corso di elaborazione e non possiamo sapere con certezza quale sarebbe stato il suo esito. Se un giorno conosceremo gli appunti che avrà sicuramente scritto nella clinica romana Quisisana (dal 24 agosto 1935 al 27 aprile 1937) ne sapremo di più.

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