5 giugno 2018 - 21:00

Il manifesto dell’eco-desiderio
«Salvare la Terra è un piacere»

Nel saggio di Antonio Cianciullo (Aboca) l’ottimismo come stimolo per la tutela del Pianeta. Per smuovere le coscienze più che sulle paure serve puntare sulla speranza

di LUCA ZANINI

«Space of Waste», installazione dell’artista Nick Wood inaugurata il 24 maggio allo Zoo di Londra: è fatta con 15 mila bottiglie di plastica recuperate (David Parry / Pa) «Space of Waste», installazione dell’artista Nick Wood inaugurata il 24 maggio allo Zoo di Londra: è fatta con 15 mila bottiglie di plastica recuperate (David Parry / Pa)
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Quando a casa dividiamo i rifiuti compostabili da plastica e vetro, o ci domandiamo se davvero dobbiamo rinunciare al piacere delle lenzuola profumate dall’ammorbidente per salvare i nostri mari dall’inquinamento, compiamo (o vorremmo compiere) atti responsabili per dare il nostro contributo al fragile equilibrio ambientale del mondo. Poi magari ci sentiamo in colpa se, per una commissione non rinviabile, prendiamo l’auto e contribuiamo al carico di polveri sottili che avvelenano l’aria delle nostre città. Eppure non dovrebbe essere così: non dovremmo agire solo in base ai sensi di colpa. Perché ci può essere un modo diverso di schierarsi a difesa dell’ambiente. Coniugare sviluppo ed ecologia, salvare il pianeta senza fermare il progresso e la crescita economica, si può. A patto di abbandonare l’improduttiva «teologia del disastro annunciato».

l saggio di Antonio Cianciullo, «Ecologia del desiderio. Curare il pianeta senza rinunce», è pubblicato da Aboca (pagine 197, euro 15)
l saggio di Antonio Cianciullo, «Ecologia del desiderio. Curare il pianeta senza rinunce», è pubblicato da Aboca (pagine 197, euro 15)

Se l’ambientalismo vuole fare davvero un passo decisivo nella tutela della natura e dell’uomo, deve smetterla di puntare solo sul catastrofismo e la colpevolizzazione della crescita economica della civiltà moderna. Perché si può (forse) «curare il pianeta senza rinunce»: è la tesi che Antonio Cianciullo sviluppa nel suo saggio Ecologia del desiderio, edito da Aboca, quando invita i movimenti ecologisti a sostituire la speranza alla paura. Secondo la ricetta dell’ecologia dei desideri, per lanciare un ambientalismo 3.0 dobbiamo passare dalla fase degli allarmi — anche se in effetti la civiltà che ha portato l’inquinamento fin sulle vette dell’Himalaya deve cambiare il modo di vivere e produrre — a quella delle proposte positive, di un ottimismo misurato che punti su «una crescita delle opportunità e dei piaceri nel rispetto dei limiti del pianeta». In poche parole, dalle pur giustificate denunce sui danni irreparabili portati dall’uomo agli ecosistemi, occorre passare a una prospettiva di possibile sviluppo sostenibile.

«Se l’ambientalismo viene presentato come un lungo elenco di privazioni, di abitudini da cancellare, di azioni da non fare, resterà relegato in una nicchia di fan della decrescita — sottolinea il giornalista e scrittore, da oltre trent’anni specializzato in temi ambientali —. Invece, possiamo fare pace con l’idea di crescita dandole un senso diverso», presentandola come «una crescita delle opportunità e dei piaceri» che rispetta l’equilibrio del mondo. Un’economia del desiderio invece di un’ecologia del dovere.

Se ne parla sempre più spesso negli ultimi anni: dai grandi allarmi lanciati durante Expo Milano 2015 si è passati alla diffusione di modelli di sviluppo che razionalizzano produzione e distribuzione per ridurre o evitare gli sprechi; dal riciclo dei rifiuti si è virato sul riuso. E ai modelli di sfruttamento insensato della Terra si vanno sostituendo tecniche che rilegittimano i contadini come custodi dell’equilibrio naturale.

Non è una strada facile: troppi ancora non credono di poter fare la differenza. Di fronte ai cambiamenti climatici non colgono il nesso tra comportamenti personali dei singoli e dinamiche planetarie, tra consumi e consumo delle risorse. Colpa anche delle ricette che gli ecologisti propongono: per troppo tempo, spiega Cianciullo, «l’ambientalismo è stato condito con la spezia amara della rinuncia». Invece occorre un grande equilibrio per tenere insieme il rispetto delle persone e il rispetto dell’ambiente. Occorre riuscire a cambiare l’immaginario collettivo: in prospettiva non catastrofi ambientali, ma sistemi di sviluppo che riportano in equilibrio l’ecosistema e il rapporto tra uomo e natura. «Un progetto durevole di economia circolare può dare speranza immediata», salvare i territori, influire sugli aspetti geopolitici.

Dagli Anni 90 a oggi ci sono stati ben 5 rapporti allarmanti dell’Ipcc — la task forse di 2 mila scienziati al servizio dell’Onu — ma la strategia della paura non ha funzionato: gridare «al lupo» non è servito a fermare la crescita dell’inquinamento e la percentuale di CO2 nell’atmosfera è aumentata di un terzo dal ’92 a oggi. Dunque per far partire una vera riconversione ecologica della società serve un modo diverso di affrontare il problema. Un esempio? Possiamo sfruttare storie positive come quelle delle Smart cities, dove il rispetto dell’ambiente si tramuta in un affare redditizio e in un netto miglioramento delle condizioni di vita degli abitanti.

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