17 settembre 2018 - 22:35

Mussolini censore di Mondadori
colpì libri di Remarque e Simenon

In un saggio di Giorgio Fabre, edito da Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori,
il rapporto tra l’editore e la dittatura, che si accanì in particolare sugli autori stranieri

di ANTONIO CARIOTI

Benito Mussolini Benito Mussolini
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Arnaldo contro Arnoldo. Portavano nomi molto simili il fratello minore di Benito Mussolini e suo braccio destro (appunto Arnaldo), morto nel 1931, e l’editore Mondadori, uno dei più dinamici imprenditori culturali italiani. I due entrarono in collisione, narra Giorgio Fabre nel libro in uscita oggi Il censore e l’editore (Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, pagine 525, euro 24), quando Arnaldo Mussolini, il 31 ottobre 1929, invocò una «profilassi energica» contro i libri incompatibili con lo spirito del fascismo, attaccando tre autori. Due di essi, Erich Maria Remarque e l’«amorale» romanziere francese Maurice Dekobra, facevano parte della scuderia di Mondadori. Il terzo, cioè il giovane Alberto Moravia, di cui Arnaldo Mussolini aveva preso di mira l’opera d’esordio Gli indifferenti (pur pubblicata dall’editrice Alpes, vicina al fratello del Duce), vi sarebbe entrato più tardi.

Quell’intervento, nota Fabre, segnò una svolta nel processo di progressiva stretta, ormai estesa anche alla narrativa, che il regime andava esercitando sulla produzione libraria. È significativo soprattutto il caso Remarque, perché Arnoldo Mondadori teneva molto al capolavoro dello scrittore tedesco Niente di nuovo sul fronte occidentale, un bestseller internazionale la cui traduzione era stata bloccata per il modo in cui denunciava gli orrori della guerra. L’editore fece di tutto per convincere il governo ad assumere una posizione più morbida. Alla fine nel 1931 ottenne di stampare una traduzione italiana, ma dovette farlo in Svizzera con la clausola che il volume circolasse solo all’estero, anche se poi qualche copia giunse anche nel nostro Paese. Lo stesso avvenne per il successivo libro di Remarque, La via del ritorno.

Il meccanismo censorio sulla letteratura s’irrigidì con la svolta razzista e totalitaria del regime. Non caso il primo romanzo sequestrato, nel 1934, fu Sambadù, amore negro della scrittrice rosa Mura, edito da Rizzoli, storia di una passione meticcia. Subito dopo venne emessa una circolare che imponeva agli editori di consegnare alle prefetture, prima della messa in vendita, tre copie di ogni loro pubblicazione.

Mondadori, che era in buoni rapporti con il fascismo e ne aveva ricavato notevoli vantaggi, cercò di barcamenarsi. Era, scrive Fabre, un «vivace e disinvolto sperimentatore cosmopolita», pronto a tutto pur di venire incontro ai gusti del pubblico, ma anche un uomo d’ordine. Certamente gli pesò rinunciare a titoli del popolarissimo Georges Simenon, come Quartiere negro (sequestrato) e I clienti di Avenos, bloccato e mai uscito per la presenza di un personaggio femminile assai disinibito, mentre L’eredità Donadieu, anch’esso pruriginoso, uscì mutilato dei brani «sconvenienti».

La pratica di purgare i romanzi fu spesso adottata da Mondadori per salvare il salvabile: per esempio il 3 ottobre 1933 in una ossequiosa lettera al genero del Duce Galeazzo Ciano, all’epoca capo ufficio stampa del suocero, l’editore propose che due libri su cui erano caduti i fulmini della censura fossero tagliati in modo da eliminare il suicidio e l’aborto inseriti nella narrazione. Uno dei romanzi tornò così in circolazione, l’altro no. Mussolini, nota Fabre, stava venendo allo scoperto con le sue ambizioni di «editore della nazione», deciso a controllare «tutto il mercato librario». E anche per un abile navigatore come Mondadori gli spazi di manovra si restringevano.

L’incontro

Il libro di Giorgio Fabre sarà presentato il 19 settembre a Milano (ore 18.30) al Laboratorio Formentini (via Marco Formentini 10). Discutono con l’autore Francesco Cassata e Christopher Rundle. Modera Oliviero Ponte di Pino.

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