29 agosto 2018 - 10:44

Pensioni: contributo di solidarietà
o ricalcolo? Governo diviso

Per «smontare» la Fornero servirebbero almeno 5 miliardi l’anno. Ma dall’eventuale taglio degli assegni d’oro entrerebbero solo 500 milioni

di Enrico Marro

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Il tempo stringe ma sulle pensioni tra governo e maggioranza regna sovrana la confusione. Movimento 5 Stelle e Lega hanno creato grandi aspettative, avendo inserito nel loro programma una riforma radicale della legge Fornero (all’inizio parlavano addirittura di «abolizione» della stessa). Ma al momento non si capiscono né i tempi né i modi di un eventuale intervento. Che comunque sarà graduale e, prevedibilmente, di ridotta portata, viste le scarse risorse finanziarie a disposizione. Quello che invece si capisce bene è che le ricette dei 5 Stelle e della Lega divergono profondamente, parlando a platee elettorali molto diverse tra loro per collocazione geografica e condizione lavorativa. I grillini puntano soprattutto a portare a casa un taglio delle cosiddette «pensioni d’oro», i leghisti a mandare in pensione prima i lavoratori con molti anni di contributi, concentrati al Nord.

Pensione minima a 780 euro?
È vero, ci sono alcune attenuanti a questo stato di confusione, di cui tener conto. Il governo ha tempo fino al 27 settembre per chiarirsi le idee e presentare in Parlamento il Def, cioè il Documento di economia e finanza che descriverà i piani dell’esecutivo che avranno una prima attuazione nella legge di Bilancio 2019. E’ anche vero che, avendo l’esecutivo messo molta, forse troppa, carne al fuoco, dalla flat tax alle pensioni al reddito di cittadinanza, ed essendo i margini di manovra stretti (12,5 miliardi serviranno solo per impedire che l’Iva aumenti), difficilmente potranno essere mantenute le promesse fatte: quota 100, cioè la possibilità di andare in pensione a 64 anni con 36 di contributi; quota 41 (gli anni di contributi sufficienti per lasciare il lavoro indipendentemente dall’età); l’aumento delle pensioni minime a 780 euro (un intervento che da solo costerebbe circa 6 miliardi l’anno); il taglio delle «pensioni d’oro».

Ricalcolo o contributo?
Quest’ultima misura non costa, anzi dovrebbe far entrare risorse da destinare alle pensioni più basse, ma anche qui le ricette del Movimento 5 Stelle e della Lega sono in conflitto. Il partito di Di Maio punta sul ricalcolo col metodo contributivo di tutte le pensioni superiori a 4mila euro netti al mese, una soluzione che sembra tecnicamente complicata da realizzare (l’Inps disse in Parlamento che non si può fare) e certamente a rischio di incostituzionalità. Il partito di Salvini pensa invece a un contributo di solidarietà di tre anni, modulato per fasce di reddito pensionistico.

Un disegno di legge a vuoto
Nel frattempo è stato presentato un disegno di legge, primi firmatari D’Uva (5 Stelle) e Molinari (Lega) che propone una terza soluzione: il taglio delle pensioni superiori a 80mila euro lordi l’anno in base all’età nella quale il pensionato ha lasciato il lavoro (più lo ha fatto da giovane più alto sarà il taglio), anche questo a forte rischio di incostituzionalità, perché inciderebbe retroattivamente sulle pensioni in essere maturate secondo le norme al tempo vigenti. Un disegno di legge destinato a perdersi nel nulla, visto che Di Maio continua a presentarlo come un provvedimento che attuerebbe il ricalcolo col contributivo, cosa assolutamente non vera, mentre la Lega lo ha disconosciuto dopo essersi accorta che il taglio in base all’età colpirebbe per il 70% i lavoratori del Nord e potrebbe ridurre l’assegno fino al 20-25%.

Servono almeno 5 miliardi
Cosa deciderà alla fine il governo, dove un ruolo non marginale spetterà al ministro dell’Economia, Giovanni Tria? Sulla base dei precedenti si può dire che il contributo di solidarietà, se temporaneo e indirizzato a reinvestire le risorse recuperate all’interno del sistema previdenziale, ha più chance di passare l’esame della Consulta. Ma di certo da eventuali tagli delle <pensioni d’oro> verrà solo una minima parte di quanto lo stesso governo ritiene necessario per ammorbidire la riforma Fornero, cioè almeno 5 miliardi di euro l’anno, senza contare quello che servirebbe (almeno altrettanto) per portare a 780 euro la promessa <pensione di cittadinanza>. I pensionati con redditi pensionistici superiori a 80mila euro lordi l’anno (quelli che verrebbero colpiti dal ddl D’Uva-Molinari) sono infatti appena 80mila e l’incasso sarebbe di circa 500 milioni l’anno.

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