20 dicembre 2018 - 21:17

Manovra, caos al Senato sulla fiducia: Pd e Leu lasciano la commissione Bilancio

Maxiemendamento venerdì in Aula senza voto in Commissione Bilancio. Polemiche sulle clausole Iva

di Alessandro Trocino

Manovra, caos al Senato sulla fiducia: Pd e Leu lasciano la commissione Bilancio
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ROMA — Lavori interrotti, caos, proteste, la Commissione Bilancio del Senato che dopo sei giorni deve gettare la spugna, senza una discussione e senza un voto, e il maxi-emendamento del governo che arriverà in Aula venerdì alle 16 e sarà votato, con la fiducia, intorno a mezzanotte.

Dopo i due mesi di trattative snervanti con Bruxelles, il risultato è arrivato. E il ministro Giovanni Tria è soddisfatto: «Mi vedete sorridente, perché abbiamo raggiunto un buon risultato». Ma ora il governo deve accelerare per evitare l’esercizio provvisorio. Il presidente della Commissione Bilancio, il 5 Stelle Daniele Pesco, giovedì è sembrato perdere il controllo della situazione. Intervenendo in Aula ha spiegato che «i lavori in Commissione non sono ultimati, c’è ancora tanto da fare». Una settimana di stop and go, di continui rinvii, con 700 emendamenti non discussi e la decisione finale di far approdare la legge di Bilancio in Aula, senza alcun voto nella Commissione e senza mandato al relatore. Ogni proposta dell’opposizione viene respinta. A quel punto, gli esponenti di Pd e Leu decidono di abbandonare i lavori della Commissione. Il dem Andrea Marcucci è durissimo: «Abbandoniamo la Commissione dopo sei giorni di prese in giro. Non abbiamo mai discusso né votato alcun emendamento. È la prima volta nella storia della Repubblica. È una vergogna e un’umiliazione per il Parlamento». Dura anche Emma Bonino (+Europa): «Ho la forte tentazione di non partecipare al voto. Non mi capita mai, ma questa è una grave ferita alla democrazia».

La chiama per il voto di fiducia, istituto spesso criticato dai 5 Stelle, comincerà alle 23. Matteo Salvini si augura che il Senato riesca a votare la manovra «entro venerdì e ad approvarla entro Natale. Se non fosse così, siamo disponibili a lavorare anche dopo il 26 ma sicuramente entro la fine dell’anno». Luigi Di Maio intanto mostra su un foglietto scritto a mano i risultati raggiunti (con la parola «fatto» vicino a ognuno) e spiega di non rinnegare affatto il giubilo sul balcone di Palazzo Chigi, dove festeggiava un deficit del 2,4 che poi è stato costretto a cambiare. Il vicepremier esulta soprattutto per l’anticorruzione (sabato la festa in piazza), provando a spostare l’enfasi dal deludente risultato della trattativa sulla manovra. Rivendica l’esclusione degli ambulanti dalla direttiva Bolkenstein e riceve le telefonate di complimenti di Grillo e di Casaleggio. Salvini venerdì rilancerà sull’autonomia, in Consiglio dei ministri. Intanto Renato Brunetta attacca sull’Iva: «Le aliquote rischiano di arrivare alla cifra record del 26,5 per cento». E Maurizio Martina, Pd, annuncia: «È in arrivo una stangata». Di Maio rassicura: «Sono sciocchezze. Le clausole di salvaguardia si attivano se non tornano i conti, ma i conti torneranno». Molto meno entusiasta una parte dei 5 Stelle. Alcuni senatori, che hanno ricevuto la lettera dei probiviri, sono in uscita. Anche la Cei boccia la manovra. I vescovi si dicono preoccupati per i tagli alle agevolazioni Ires per gli enti no profit. Il rischio, sottolinea monsignor Stefano Russo, è che «le attività di volontariato vengano penalizzate fortemente».

Intanto, al posto del capo di gabinetto del ministro Giovanni Tria, il dimissionario Luciano Garofoli (inviso ai vicepremier), potrebbe arrivare Luigi Carbone, presidente di sezione del Consiglio di Stato, che è stato capo di gabinetto dell’ex ministro Roberto Calderoli.

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