17 luglio 2018 - 14:10

Tria: flat tax senza pesare sui conti pubblici. Di Maio contro le banche: «Pagheranno»

Il ministro dell’Economia: per il reddito di cittadinanza trasformare strumenti esistenti. Tria ha esculo una «moratoria generale» della riforma varata da Renzi

di Lorenzo Salvia

Il ministro dell’Economia, Giovanni Tria Il ministro dell’Economia, Giovanni Tria
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Alleggerire la pressione fiscale è un obiettivo del governo ma va perseguito «compatibilmente con gli spazi finanziari». Mentre la «task force creata al ministero per studiare la Flat tax, ha come riferimento un «quadro coerente di politica fiscale e in armonia con i principi costituzionali di progressività, che l’attuale sistema Irpef fa fatica a garantire». Il ministro dell’Economia Giovanni Tria, davanti alla commissione Finanze del Senato, conferma la linea della prudenza: le riforme previste dal contratto di governo vanno attuate ma mantenendo l’equilibrio dei conti pubblici e l’impegno per la riduzione del debito pubblico.

Nelle stesse ore, però, ci pensa Luigi Di Maio a riscaldare il clima, mettendo nel mirino le banche: «Il sistema bancario la deve pagare perché ha avuto un atteggiamento arrogante infischiandosene dei risparmiatori e dello Stato, protetto da ambienti politici sia in questa regione che a livello nazionale», dice il vice premier dalla Calabria, al termine della visita nello stabilimento dell’imprenditore Nino De Masi, sotto scorta per aver denunciato il racket. Forza Italia parla di «minacce inaccettabili» e chiede l’intervento della Banca d’Italia. Ma forse Di Maio prepara il terreno per la prossima Legge di Bilancio, visto che nella proposta originaria del reddito di cittadinanza una parte delle copertura veniva dall’aumento della tassazione proprio sulle banche.

Anche Tria, nel suo intervento, parla di banche. Ma su un altro punto, la riforma delle Banche di credito cooperativo, e con toni ben diversi: esclude una «moratoria generale» della riforma varata dal governo Renzi che spinge all’accorpamento degli istituti. E si limita ad aprire ad «alcuni ritocchi necessari».

Ma la parte più importante del suo discorso riguarda proprio le riforme del contratto di governo. «Parlare di pace fiscale — dice Tria — non vuol dire fare nuovi condoni ma un fisco amico che favorisca l’estinzione dei debiti». Nella proposta originaria della Lega la pace fiscale è tecnicamente un condono, perché prevede la possibilità di chiudere i conti con il Fisco pagando un piccola parte del debito originario. L’altro azionista di maggioranza, il Movimento 5 Stelle, è sempre stato perplesso sul punto. Il compito di Tria è trovare una mediazione.La sua linea è non andare incontro all’evasore. Prevedendo però un intervento a favore di chi avevano denunciato i suoi redditi ma poi non è riuscito a pagare perché senza mezzi. Tecnicamente non sarà facile tracciare una linea di confine tra chi non paga e chi non può pagare. Ma è a questo che pensa Tria quando parla di un Fisco «che ha a cuore accanto alla riscossione anche il suo presupposto, cioè creare ricchezza e consumi». Proprio sulla crescita il ministro dice che nel 2018, in Italia, «non sarà lontana da quella programmata», al momento fissata all’1,5%.

Altra riforma del contratto di governo, il reddito di cittadinanza. Tria dice che in questo momento chiedersi quanto costa significa «porsi una domanda sbagliata». E questo perché il «costo di un provvedimento non può essere tutto addizionale ma in parte sostitutivo». In sostanza si tratterà di «trasformare strumenti di protezione sociale già esistenti in altri strumenti», poi si vedrà «il costo differenziale e come introdurlo gradualmente». Tradotto vuol dire che il reddito di cittadinanza, quando arriverà, prenderà il posto e i relativi stanziamenti del Rei, il reddito di inclusione già operativo e destinato alle famiglie sotto la soglia di povertà assoluta. Ma forse anche della Naspi, l’attuale indennità di disoccupazione. Un modo per rendere il reddito di cittadinanza più lontano da una misura di assistenza pura. E più vicino a uno strumento per spingere chi incassa l’assegno a cercare un lavoro.

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