13 settembre 2018 - 21:35

Reddito di cittadinanza, i 5 Stelle: «I 10 miliardi arriveranno». Ma Tria non si sbilancia

Il timore di una resistenza da parte dei funzionari del ministero

di Alessandro Trocino

Il ministro dell’Economia Giovanni Tria
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ROMA — Dopo giorni di tensione, i Cinque Stelle ostentano ottimismo e rivendicano l’opportunità della loro offensiva. «Vedrete che alla fine i dieci miliardi spunteranno fuori miracolosamente», ironizzano ai piani alti, alludendo alla previsione di un successo nel pressing nei confronti del ministro dell’Economia Giovanni Tria. Insomma, le veline diffuse ad arte, le pressioni e persino l’ultimatum, con una minaccia di sfiducia, avrebbero incrinato la prudenza del ministro. I famosi dieci miliardi necessari per avviare il reddito di cittadinanza vengono a questo punto considerati reperibili, in un modo o in un altro. Ancora si tratta solo di parole e di ragionamenti, perché i conti nero su bianco si faranno tra qualche giorno. E lo stesso ministro ufficialmente non si espone, rivendicando anzi una cautela che si scioglierà solo più avanti. Ma i piani alti del Movimento sembrano in queste ore aver tirato un sospiro di sollievo, dopo che lo scontro era arrivato a un livello di guardia altissimo, con la richiesta (smentita) di dimissioni.

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L’ottimismo che circola, però, viene mitigato da un paio di elementi che rischiano di frapporsi a un esito positivo della vicenda. Il primo sono le parole di Mario Draghi, il presidente della Banca centrale europea, secondo il quale «le parole» di queste settimane in Italia hanno provocato «danni», facendo salire i tassi, per famiglie e imprese. Stilettata al governo italiano che è stata presa con fastidio da Matteo Salvini ma anche dai Cinque Stelle, i quali temono che la cautela di Tria venga rafforzata dall’intervento di Draghi. Il ministro dell’Economia potrebbe farsi forza della posizione del presidente della Bce per rimangiarsi le mezze promesse fatte a Luigi Di Maio e ai suoi.

Ma c’è un altro elemento che rischia di complicare la difficile ricerca delle risorse necessarie alla riforma. Dal Movimento, infatti, filtra il timore che, dopo aver vinto la resistenza del ministro, siano i funzionari del Ministero a fare resistenza passiva dall’interno. Una sorta di boicottaggio che grazie alla forza di attrito della burocrazia potrebbe vanificare gli sforzi del governo per portare avanti il reddito di cittadinanza, la flat tax e le altre riforme in programma.

Difficile capire se si tratti solo di un timore preventivo, di un mettere le mani avanti per precauzione. Difficile anche capire come davvero evolverà il dialogo con Tria e tra i due vicepremier, che hanno obiettivi identitari diversi. Da un parte il reddito di cittadinanza, per Di Maio. Dall’altra, la flat tax per Salvini. Il leader del Movimento 5 Stelle, in un’intervista al Paìs, rivendica l’introduzione del reddito di cittadinanza come «uno dei pilastri della manovra economica e uno dei cuori della nostra proposta politica». L’obiettivo, almeno quello iniziale, è quello di dare una risposta ai 5 milioni di italiani che si trovano in condizioni di «povertà assoluta». Per poi occuparsi di chi si trova in uno stato di «povertà relativa».

L’intervista al quotidiano spagnolo serve anche a fornire rassicurazioni all’estero, visto anche il clima di scontri continui che si è instaurato con l’Unione europea. Di Maio spiega che «c’è piena armonia con il nostro ministro dell’Economia sui prossimi passi da fare». E che «non c’è alcuna volontà di uno scontro con l’Unione europea» e «nessuna intenzione di distruggere i conti pubblici». Restano, però, le divergenze sul deficit e sull’opportunità di sforarlo e di quanto. Il 21 settembre l’Istat diffonderà l’aggiornamento sui conti nazionali e subito dopo il governo approverà l’aggiornamento del Def. E a quel punto si capirà la sorte del reddito di cittadinanza e si tireranno le somme finali.

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