6 febbraio 2019 - 15:52

Fmi: «Reddito di cittadinanza è disincentivo al lavoro». E Di Maio: «Hanno affamato i popoli»

I timori del Fondo monetario sull'Italia: «Recessione possibile e rischio contagio globale». La replica del vicepremier: «Non hanno la credibilità per criticare». Crescita del Pil sotto l'1% per i prossimi 5 anni, emigrazione vicina ai massimi da 50 anni. Tria: «Nessun allarmismo»

di Fabrizio Massaro e Silvia Morosi

Fmi: «Reddito di cittadinanza è disincentivo al lavoro». E Di Maio: «Hanno affamato i  popoli»
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«Abbiamo già smentito tante voci in soli sette mesi e nel corso del 2019 smentiremo anche il Fondo Monetario Internazionale. Chi ha affamato popoli per decenni, appoggiando politiche di austerità che non hanno ridotto il debito, ma hanno solo accentuato divari, non ha la credibilità per criticare una misura come il reddito di cittadinanza, un progetto economico espansivo di equità sociale e un incentivo al lavoro». Così il ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, ha criticato la posizione del Fondo Monetario Internazionale. L’istituzione di Washington guidata da Christine Lagarde ha confermato un Pil in crescita dello 0,6% nel 2019 dopo il +1,0% del 2018, chiarendo però come in caso di un acuto stress dell'Italia l'effetto contagio potrebbe essere globale e significativo: «Uno stress acuto potrebbe spingere i mercati globali in territori inesplorati» e «l'effetto contagio potrebbe essere globale e significativo». Il Fondo ha «bocciato» il decreto sul reddito di cittadinanza: «I benefici sono relativamente più generosi al Sud, dove il costo della vita è più basso con l'implicazione di maggiori disincentivi al lavoro così come di rischi di dipendenza dalla misura di welfare».

Tria: «Non creare allarmismi»

«Non c'è motivo per creare allarmismi. Son sicuro che, come è evidente dal summing up della discussione al consiglio di amministrazione del Fondo, che ne esprime la posizione ufficiale, ci sia apprezzamento per gli sforzi governativi e nessuna intenzione di destabilizzare i mercati», ha chiarito il ministro dell'Economia, Giovanni Tria commentando il Rapporto dell'Fmi. «Non condividiamo» alcuni giudizi sull'Italia. «Apprezziamo, però, l'equilibrio delle valutazioni sulla crescita economica del Paese. Il rapporto sottovaluta la necessità di sostenere la crescita in Italia e in Europa e il ruolo delle politiche adottate dal Governo a questo fine».

Crescita sotto l'1% per almeno 5 anni

Il Fondo stima una crescita sotto l'1% per i prossimi 5 anni. Se per quest'anno e il 2020, come già comunicato, le previsioni vedono una crescita del Pil italiano rispettivamente dello 0,6% e 0,9%, per il 2021 la stima è dello 0,7%, mentre per il 2022 e 2023 del +0,6%. Il deficit previsto è al 2,1% del Pil nel 2019 e vicino al 2,9% nel 2020. Salirà al 3% nel 2021 e si fermerà a tale livello fino al 2023. L'Fmi lancia poi l'allarme su emigrazione e povertà. Oltre il 20% delle famiglie è a rischio povertà e l'emigrazione dei cittadini italiani è vicino ai massimi degli ultimi cinquanta anni.


Le stime della Commissione Europea

Si va verso un taglio netto delle previsioni di crescita del Pil sia per l’Italia e verso una riduzione, più attenuata, per l’intera Eurozona, nelle stime che giovedì 7 mattina saranno pubblicate dalla Commissione Europea. Secondo alcune anticipazioni rilanciate dalle agenzie, la stima scenderebbe allo 0,2%, ma la Commissione non ha confermato. La previsione sarebbe dunque inferiore allo 0,6% indicato da Banca d’Italia e dal Fondo monetario e anche rispetto all’1% (0,6% nello scenario base) indicato dal governo nella manovra con il consenso della stessa Commissione europea nel quadro del negoziato sulla legge di bilancio raggiunto un mese e mezzo fa.

Ubp: «Su previsioni pesano rischi al ribasso»

In una posizione mediana tra Ue e Fmi si trova l’Ufficio parlamentare di bilancio (Ubp): il Pil italiano aumenterà dello 0,4% nel 2019, mentre nel 2020 salirà dello 0,8% «stima che non incorpora l’attivazione delle clausole Iva», è la previsione contenuta nell’ultima nota sulla congiuntura dell’Ufficio parlamentare di bilancio secondo il quale «sulle previsioni pesano rischi al ribasso». L’andamento delle variabili internazionali «sconta infatti l’assenza di nuove restrizioni sul commercio internazionale, impatti complessivamente contenuti dagli attuali fronti di instabilità geo-politica (Brexit, crisi politica in Venezuela), oltre che l’ordinata normalizzazione delle politiche monetarie nelle maggiori aree valutarie».

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