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«Abbiamo pronta la prima supercar Pininfarina. Ora via alle acquisizioni»

di Giuliana Ferraino

«Abbiamo pronta la prima supercar Pininfarina. Ora via alle acquisizioni»

Nel suo ufficio a Cambiano, in provincia di Torino, tra le foto di automobili e i modellini che hanno fatto la storia della società, si trovano due cornici inattese, appese alla parete una sull’altra: una ritrae l’allunaggio di Luis Armstrong, l’altra un’immagine della terra vista dalla luna. «Nel 1969 avevo 8 anni, è stato l’evento che mi ha spinto a studiare fisica. Queste due foto mi accompagnano da quando ho 20 anni, le porto sempre con me. Vedere la terra dalla luna ci insegna a cambiare prospettiva», afferma Silvio Pietro Angori, 57 anni, dal 2007 alla guida di Pininfarina; da 3 anni editore dell’Indice dei libri del mese, rivista di critica letteraria di Torino, e avido «lettore onnivoro», legge da due ai quattro libri a settimana, di notte, perché dorme pochissimo, e poi li conserva tutti.

Ha salvato Pininfarina, rimpiange di non aver fatto lo scienziato?
«Aver studiato fisica mi ha permesso di allenare la mente a rappresentare uno stesso fenomeno o la realtà in tanti modi. Mi ha chiamato come direttore generale 12 anni fa Andrea Pininfarina, per risanare la società. Ero il primo manager esterno. Allora l’azienda aveva 5 mila dipendenti, un fatturato consolidato di 670 milioni, che saliva a 1,2 miliardi considerando la joint venture con Volvo, e 960 milioni di debiti. Nel 2011 i dipendenti erano scesi a 500, il fatturato a 62 milioni e il debito a 200 milioni. I 10 anni fino al 2016 valgono 30 anni della mia vita. La svolta è arrivata con il gruppo indiano Mahindra, che nel 2016 ha comprato il 76% di Pininfarina. Avevamo bisogno di un socio finanziario, gli indiani sono stati la salvezza. La prima volta che ho portato in consiglio la loro proposta, è stata respinta. Ci ho riprovato. I capitali non hanno passaporto».

Oggi coma va la società?
«È tornata all’utile, il fatturato ammonta a poco più di 100 milioni, i dipendenti sono risaliti a circa 650 unità, mentre il gruppo vanta una posizione finanziaria netta positiva per 9,6 milioni (al 30 settembre 2018). E ci prepariamo a svelare al mondo, in occasione del prossimo Salone dell’auto di Ginevra, la prima auto con il marchio ‘Automobili Pininfarina’, società creata 6 mesi fa e controllata al 100% da Mahindra. E’ nascosta sotto un telone nel centro design di Cambiano: un bolide bianco elettrico da 1.900 cavalli, velocità massima di 400 chilometri all’ora, e autonomia di 450 chilometri, se usata con giudizio. Si chiama “Battista”, in onore di Battista “Pinin” Farina, il fondatore del gruppo nel 1930. Costerà più di 2 milioni di euro e ne faremo un centinaio».

Quanto vale l’auto per il gruppo?
«Pininfarina ricava ancora il 65% del fatturato dal mondo dell’auto, che però è davanti a un cambiamento epocale e a un grande dilemma: come trasformare il valore del marchio in un servizio di mobilità, anche quando è condiviso. Se il prodotto di possesso scompare, il marchio è la vera forza dell’azienda. Perciò l’obiettivo è trasformarlo in un’esperienza unica. La personalizzazione diventerà una necessità assoluta, in tutti i campi, dalla farmacia al retail. E, in futuro, sarà su scala industriale. Grazie al digitale, che mette a disposizione molti più strumenti. La rete 5G, l’internet delle cose, il deep learning, l’intelligenza artificiale sono tecnologie che permetteranno di cambiare il modo in cui vengono concepiti gli oggetti e offerti i servizi. Finora abbiamo sempre usato le leve commerciali per crescere, ora dobbiamo anticipare il cambiamento e dotarci di competenze aggiuntive per raggiungere più mercati e nuovi servizi».

Pensa ad acquisizioni?
«Dobbiamo cavalcare l’onda della customizzazione dei servizi. Abbiamo 40 milioni di liquidità al 30 settembre 2018. Stiamo guardando al mercato Usa, a Cina, Giappone, India e anche all’Europa, ma mi interessano di più le economie che crescono, ad esempio i Paesi lungo la via della seta».

Qual è l’obiettivo di medio-lungo periodo?
«Triplicare il fatturato nei prossimi 3-5 anni, con mezzi propri, debito e mercato. Noi siamo un’icona del Made in Italy e del design italiano. Ho fiducia che l’economia italiana torni a crescere, ma bisogna cercare i capitali dove ci sono. Penso che in Italia ci vorrebbe un ministero del Made in Italy italiano per valorizzare nostri marchi».

Ipotizza di quotare Pininfarina a Wall Street o su un altro listino, oltre a Piazza Affari dove è negoziato il 24% del capitale?
«Non escludiamo nulla».

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