Nel governo

Cina, tensione Salvini-Di Maio: «Non è un libero mercato», «Lui ha diritto di parlare, io devo fare i fatti»

di Lorenzo Salvia

Cina, tensione Salvini-Di Maio: «Non è un libero mercato», «Lui ha diritto di parlare, io devo fare i fatti»

ROMA — La firma degli accordi tra Italia e Cina diventa l’occasione per un nuovo scontro tra Lega e Movimento 5 Stelle. Stavolta, però, c’è qualcosa di diverso. È vero che i toni sono quelli accesi da chiamata alle urne, con le elezioni di oggi in Basilicata e le Europee di fine maggio. Ma, per intensità e profondità, è difficile ridurre tutto alla sola (e continua) campagna elettorale. Il primo a parlare è Matteo Salvini. Non da Roma, visto che in questi giorni il vicepremier della Lega si è tenuto a distanza dalla Capitale e da tutti gli appuntamenti per la visita del presidente cinese Xi Jinping. Ma dal Forum di Confcommercio a Cernobbio, giocando in casa: «Non mi si dica che la Cina è un Paese con il libero mercato — attacca il segretario della Lega — noi vogliamo essere assolutamente cauti quando c’è in ballo la sicurezza nazionale». Lo scontro sulla Cina, tra Lega e Movimento 5 Stelle, non è certo una novità. Ma sembra aver innescato un allontanamento tra i due azionisti del governo che somiglia a un punto di non ritorno. Due esempi.

Salvini dice ancora che l’alleanza di governo durerà. Ma lo fa in modo diverso rispetto al passato: «Se dipende da me questo governo arriva alla fine». Dove quel «se dipende da me» sembra una guerra preventiva al Movimento 5 Stelle. Un modo per addossare fin da ora ai grillini la responsabilità di un’eventuale crisi. E poi c’è anche una frecciatina per il presidente del consiglio Giuseppe Conte, finora mediatore tra le due anime del governo: «È più vicino al Movimento 5 Stelle? Lo sapevamo. Era nella loro squadra di governo. Non ho gelosie». Se tre indizi fanno una prova, i tre punti sollevati da Salvini sono la prova di quanto siano deteriorati i rapporti all’interno del governo. Ma anche la risposta dell’alleato Luigi Di Maio non è da meno.

Il capo politico del Movimento 5 Stelle replica dal giardino di Villa Madama, dove si è appena conclusa la cerimonia per la firma degli accordi con Pechino. Gli chiedono cosa ne pensa delle parole di Salvini sulla Cina. Lui quasi non lascia finire la giornalista. Perché si aspetta la domanda e si è preparato la risposta, ruvida: «Salvini ha il diritto di parlare. Io come ministro ho il dovere di fare i fatti e i fatti oggi sono la firma di accordi per un valore di due miliardi e mezzo di euro». Salvini parla, Di Maio fa. La narrazione studiata a tavolino dal Movimento 5 Stelle prova a ribaltare i ruoli che finora gran parte dell’opinione pubblica ha cucito addosso ai due vicepremier. E si spinge ancora più avanti in un altro passaggio dell’intervento di Di Maio nel giardino di Villa Madama: «Voglio dedicare questa firma ai nostri imprenditori del made in Italy. Come qualcuno diceva America First, noi diciamo Italy First», afferma il vicepremier davanti alle bandiere italiana e cinese, marcate strette da quella blu dell’Unione Europea. Dov’è la novità?

Il Movimento 5 Stelle parla direttamente al popolo degli imprenditori. Prova a sfondare in quello che è da sempre il serbatoio elettorale della Lega. Del resto è così che ha deciso di raccontare gli accordi con la Cina, un’opportunità per i nostri imprenditori perché porterà in Italia «più imprese e più lavoro». In realtà questo è solo un pezzo della storia che c’è dietro la via della Seta. L’altro è l’ingresso della Cina nel nostro Paese. Ma per il M5S è meno interessante da raccontare. Anche perché potrebbe essere la miccia dello scontro finale con la Lega.

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