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Cremonini, il big del cibo made in Italy conquista Russia e Polonia: «La crisi? Unica via è aumentare le buste paga»

di Daniela Polizzi e Isidoro Trovato

Cremonini, il big del cibo made in Italy conquista Russia e Polonia: «La crisi? Unica via è aumentare le buste paga»

«All’estero andiamo con un modello di industria ancora prima che con i prodotti. Partiamo a valle con la distribuzione per conoscere meglio che cosa cerca il consumatore, poi risaliamo a monte fino all’allevamento. È un percorso rovesciato rispetto a quello che facciamo in Italia. Il punto di partenza è far conoscere, e far crescere, la nostra cultura del cibo in tutto il mondo. Vogliamo fare squadra con il territorio e le filiere agricole». È la ricetta di Vincenzo Cremonini, 54 anni, amministratore delegato del gruppo alimentare di Castelvetro Modenese, il secondo nel settore, dopo Ferrero, a capitale interamente italiano. In Russia , in Polonia e in sette Paesi dell’Africa lo schema è sempre lo stesso, riprodurre le tre filiere su cui poggia il gruppo che anche quest’anno reinvestirà l’85% del cash flow. Tre dunque i pilastri: la produzione di carne con Inalca, la ristorazione con Chef Express e la distribuzione con Marr. Su tutti e tre i canali sono confluiti gli investimenti che negli ultimi tre anni hanno superato il mezzo miliardo e hanno fatto crescere il gruppo fino a 4,18 miliardi di ricavi, in aumento del 10,4% nel triennio, e 17 mila dipendenti. Mille in più rispetto a un anno fa. Un ritmo che Cremonini, seconda generazione di imprenditori modenesi, vuole mantenere. «Certo, la politica dovrebbe sostenere imprese e lavoratori, gli unici che possono fare crescere il Paese come stiamo provando a fare noi». Cremonini, figlio del fondatore Luigi, racconterà numeri e prospettive del gruppo il 15 maggio. «Terremo il nostro Bank Day qui a Castelvetro con tutti gli stakeholder, banche di relazione, fornitori, istituzionali come la Cassa depositi e prestiti che ha investito nella nostra Inalca a fianco del Qatar e del Kuwait. Ci saranno oltre cento persone nella sala del consiglio».

Che cosa racconterà?
«È una vecchia tradizione quella di riunirsi ogni anno, siamo stati quotati per un decennio e manteniamo le stesse abitudini di allora: spieghiamo i risultati e i progetti di lungo periodo. Solo nel 2018 gli investimenti sono stati di 176,2 milioni».

L’economia mondiale rallenta, ci sono i dazi. Quale scenario racconterà a chi sostiene i vostri piani?
«La competitività delle aziende italiane all’estero è rimasta uguale, il tema vero sono i consumi domestici. E la chiave per rilanciarli non è drogare l’economia con modelli di assistenzialismo sul reddito. Il debito pubblico cresce e per dare una spinta al Pil l’unica strada è stimolare la produzione. Non è necessario togliere le tasse alle imprese, ma bisogna premiare quelle che investono perché hanno un forte impatto sul Paese. Per esempio sarebbero importanti gli incentivi sull’iperammortamento che crea innovazione e crescita. Poi bisognerebbe alleggerire le tasse nelle buste paga dei lavoratori. Per aumentarne il potere d’acquisto. Imprese e lavoro dipendente creano ricchezza».

Quali sono le leve della crescita futura per Cremonini?
«L’espansione dei prossimi anni verrà dalla distribuzione , il mestiere che fa in Italia la controllata Marr, all’estero l’Inalcae poi dalla ristorazione. Il nostro nuovo volano di crescita è la neonata Inalca Food & beverage, una piattaforma per vendere i prodotti italiani all’estero, nostri ma anche di altri. I mercati di riferimento sono quelli del far East, la Cina, l’Australia, la Polonia, Paesi dove il made in Italy è molto apprezzato, ma dove i nostri piccoli produttori eccellenti non possono arrivare perché non sono sorretti da un sistema distributivo dalle spalle larghe».

In Russia però vi state spingendo oltre la semplice distribuzione
«Sì, e non da ora. Abbiamo da anni uno stabilimento per la produzione di hamburger a Mosca e da tre abbiamo inaugurato aperto il primo impianto di macellazione delle carni bovine a Orenburg, vicino al Kazakistan, ora c’è una capacità di macellazione di 130 mila capi locali all’anno. La stessa filiera la stiamo finalizzando anche in Polonia. Replichiamo oltreconfine la nostra cultura industriale».

L’Africa rimane un mercato su cui punterete anche in futuro?
«Senza dubbio. Il continente africano negli ultimi 4-5 anni ha pagato il crollo del petrolio e delle materie prime e questo ha provocato la fuga di molti gruppi industriali stranieri. Noi non ci siamo mossi e oggi che tutti stanno cercando di tornare, noi godiamo di una posizione di vantaggio».

Il calo dei consumi ha contribuito a mettere sotto pressione il modello della grande distribuzione in tutta Europa.
«Ormai da anni l’intero comparto italiano ha perso l’opportunità di andare all’estero dove avrebbe potuto portare le eccellenze italiane. È possibile che ora si vada verso un consolidamento nel Paese, spinto da vari fattori che hanno reso il quadro complesso. Assisteremo a fusioni e acquisizioni che cambieranno il rapporto di forze nel mondo della grande distribuzione. Uno scenario complicato, al quale si aggiungono minacce e sfide come l’ecommerce o i discount che peraltro i punti vendita sono raddoppiati negli ultimi dieci anni».

Nel settore della ristorazione siete molto attivi: treni, aeroporti e ristoranti, quali obiettivi per il 2019?
«Per quanto riguarda i treni, vogliamo tornare a bordo di Trenitalia e delle Frecce dopo esserci stati per 20 anni, curiamo la ristorazione sulle linee dell’alta velocità in tutta Europa: Russia, Gran Bretagna, Francia, Belgio e Turchia. Con 11 aeroporti invece siamo il secondo player italiano e adesso siamo pronti a gareggiare anche per scali internazionali. Infine per i ristoranti, apriremo 20 nuovi Roadhouse e 9 Calavera, il nuovo ristorante etnico-messicano».

Secondo alcuni, grazie ai vostri ristoranti di carne, siete allo stesso tempo fornitori e concorrenti di McDonald’s.
«Falso. Noi siamo i primi fornitori e alleati della grande catena di fast food, e proprio grazie a loro la nostra carne è arrivata nei mercati internazionali. I nostri ristoranti si rivolgono a un pubblico diverso e per una fascia di prezzo più alta. A riprova, molte volte apriamo i nostri locali fianco a fianco. Non abbiamo interesse a fare concorrenza a McDonald’s, di cui, fra l’altro, siamo anche concessionari».

Quale strategia invece sulla produzione?
«Al centro c’è l’Inalca, vale da sola 2 miliardi di ricavi, 150 mila capi di bestiame di proprietà, ma anche una rete di supporto con contratti di filiera per gli altri allevatori. Un esempio di come si può aiutare la zootecnia italiana è l’investimento in Bonifiche Ferraresi di cui Cremonini ha il 3%. C’è una forte necessità di sostenere la filiera di produzione per alzare gli standard e la quantità perché come Paese siamo costretti a importare materia prima a fronte di una richiesta crescente di carne made in Italy. Sono indispensabili accordi come quello che abbiamo promosso con Coldiretti attraverso Filiera Italia nelle cui fila c’è anche Ferrero che presidia la filiera della nocciola».

È ipotizzabile la nascita in Italia di un grande polo alimentare sulla falsariga dei poli del lusso creati in Francia?
«Non credo sia così semplice. Noi italiani abbiamo una cultura industriale diversa. Come sistema Italia in passato non abbiamo afferrato occasioni come quella di Parmalat. Se capitasse oggi un’occasione come quella, sarebbe da afferrare. Purtroppo allora come sistema paese non eravamo pronti».

Cosa pensa della «legge Pernigotti» per proteggere i marchi italiani? «È una dichiarazione di intenti impalpabile, un annuncio».

Il passaggio generazionale e la governance sono i temi più dibattuti nelle aziende familiari quando diventano gruppi internazionali.
«La terza generazione della nostra famiglia è già in azienda. Ci sono i miei figli: Luigi, 26 anni, è diventato da un anno responsabile dello stabilimento di Milano, Gloria, 28, lavora per il gruppo a Londra. Poi ci sono i figli di mia sorella Claudia: Riccardo Zanni da un anno è a capo dell’attività in Africa e sua sorella Matilde lavora nei servizi corporate. Il futuro passaggio del testimone è impostato. Poi c’è il management esterno che presidia le tre attività del gruppo. Ma c’è sempre nostro padre Luigi, il fondatore da zero di questa attività. Il 28 aprile compirà 80 anni ed è appena tornato dall’Africa. È lui che studia e governa la politica delle carni ».

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