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Non scherziamo sul copyright, il lavoro si paga

di Daniele Manca

Non scherziamo sul copyright, il lavoro si paga

Hanno provato a chiamarla link tax per provocare una reazione all’ennesimo balzello. Peccato che non lo sia affatto. I signori del web sono ben noti. Controllano buona parte del mercato pubblicitario che viaggia per via digitale, dispongono del monopolio delle ricerche via internet, come Google (nella cui famiglia peraltro c’è anche YouTube), di una posizione di assoluto dominio dei social come Facebook, sia direttamente che indirettamente tramite le controllate Instagram e Whatsapp. Si fanno forti dei dati che spontaneamente (attraverso l’accettazione di lunghissimi e arzigogolati contratti che non dicono altro che la seguente cosa: o mi fornisci informazioni su di te o non usi i miei servizi) forniamo loro per veicolare pubblicità con la quale fanno business.

Eccolo il nocciolo della questione sulla quale martedì i deputati nel Parlamento europeo si ritroveranno a votare. Le società che tramite servizi offerti gratuitamente ai clienti utilizzano contenuti altrui e veicolano pubblicità associata, debbono o no ripagare in qualche modo chi quei contenuti ha prodotto? La risposta sembrerebbe scontata secondo il principio che il lavoro vada pagato sempre. Ma così non è nel mondo del digitale. L’Europa si è fatta così carico di questo problema e l’ha proposto in una direttiva. Altro che link tax: si tratta di remunerare la produzione di contenuti se questi vengono usati per fare business. Quella sui contenuti è la sfida che si profila tra le più dure nel mondo del digitale. Una prova proprio stasera la si è avuta con la discesa in campo di Apple nel mondo delle tv. Si prepara a dare battaglia su un campo che è quello di Netflix, di Sky come di Amazon Prime. Pensare che quindi i contenuti siano cosa di poco conto è un’offesa al buonsenso.

È per questo che l’obiettivo delle lobby è stato non certo proporre modifiche agli articoli o impostazioni diverse quanto il rinvio dell’approvazione della direttiva che impone alle piattaforme di distribuzione, attraverso due articoli l’11 e il 13, la remunerazione ma anche la rimozione di contenuti protetti da copyright. Speravano così di allontanare misure che dovranno per di più essere approvate dai singoli governi entro 24 mesi. Quindi non domani. Si è provato persino a far circolare l’idea che si impediva ai singoli utenti di postare articoli, gif o memes. Cosa che il via libera della Commissione affari giuridici del Parlamento Ue lo scorso 26 febbraio scorso ha definitivamente smontata. Non solo sarà possibile per chiunque farlo, ma sono esentate dalla direttiva enciclopedie online non a fine di lucro come Wikipedia.

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