Brexit, studenti italiani in fuga da Londra. «Troppe incertezze, meglio Parigi o Amsterdam»
di Alessandra Puato
di Elena Tebano27 apr 2019
Comunque vada a finire la Brexit, gli europei non devono preoccuparsi troppo: c’è sempre l’Olanda. «I Paesi Bassi stanno trovando un nuovo ruolo: quello dell’economia di lingua inglese nell’Unione europea di cui il mondo ha bisogno dopo la Brexit — scrive sul Financial Times Simon Kuper, che in Olanda si trasferì bambino, dal Sudafrica —. L’Irlanda otterrà alcuni dei vantaggi, ma è meno popolosa, nel posto sbagliato e ha un’infrastruttura inferiore».
Gli olandesi, infatti, ormai parlano inglese perfettamente e mentre «la Vrije Universiteit, un’università di Amsterdam una volta sinonimo del calvinismo olandese, sta abolendo la sua laurea centenaria in lingua e letteratura olandese a causa della mancanza di interesse», il 70 per cento dei master e sempre più insegnamenti pre-laurea sono ormai tenuti in inglese. Oggi in Olanda c’è insomma «il più grande sistema universitario in lingua inglese nell’Unione europea dopo quello britannico» (leggi qui l’articolo di Alessandra Puato: Brexit, studenti italiani in fuga da Londra. «Troppe incertezze, meglio Parigi o Amsterdam»).
di Alessandra Puato
Non solo: ad Amsterdam le banche internazionali possono depositare direttamente in inglese i documenti richiesti dall’ente di controllo nazionale, e anche il più importante tribunale commerciale olandese lavora interamente in inglese. E gli olandesi sono ormai abituati a lavorare in un orizzonte mondiale. Il Paese, patria del commercio internazionale già nel 1600, è ormai completamente globalizzato. Tutto questo però avviene a un costo, avverte il quotidiano britannico: «Molti olandesi si lamentano che gli expat stanno facendo salire gli affitti, che i turisti hanno occupato il centro di Amsterdam e che alcuni studenti delle università sovraffollate vivono nelle tende. Il timore maggiore è che la globalizzazione smetta di far esistere i Paesi Bassi in quanto tali».
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di Antonella Baccaro
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