13 febbraio 2019 - 09:27

Nella fabbrica dei decreti: il governo ha prodotto 266 norme in più

Il conto negli ultimi 8 mesi. Riforma della Fornero, reddito di cittadinanza, salvataggio Carige, interventi dopo il crollo del ponte Morandi: misure che hanno bisogno di altri lunghi e complicati passaggi. Quanti? Noi li abbiamo contati: con il passato oltre mille

di Lorenzo Salvia

Nella fabbrica dei decreti: il governo ha prodotto 266 norme in più
shadow

A intervalli più o meno regolari la politica italiana prova a inseguire un miraggio. Non parliamo delle grandi riforme che ogni tanto spezzano il botta e risposta quotidiano, rumore di fondo delle nostre giornate. Ma più semplicemente delle cosiddette «leggi autoapplicative», quelle cioè che non hanno bisogno di provvedimenti successivi per produrre tutti i loro effetti. Una cosa semplice, a prima vista. E invece no perché, nonostante le ripetute promesse, le «leggi autoapplicative» restano quello che sono, un miraggio. In appena otto mesi di governo la maggioranza gialloverde ha già creato un carico di 266 norme di secondo livello, decreti attuativi e regolamenti che i vari ministeri o enti devono emanare per dare gambe alle riforme. Una montagna che si somma a quella ereditata dai governi Renzi e Gentiloni, con altre 641 norme attuative. Ma perché non si riesce a farne a meno?

In parte i decreti attuativi sono inevitabili. Un esempio: in uno dei suoi ultimi provvedimenti il governo Conte ha stanziato dei soldi per potenziare gli impianti di videosorveglianza nei Comuni. Serve poi un successivo decreto del ministero dell’Economia che «apporti le occorrenti variazioni di bilancio». Normale. Ma in molti casi prevale la tecnica del rinvia a domani quello che potresti fare oggi. Non solo. Nella storia recente del nostro Parlamento la moltiplicazione delle norme attuative è un effetto neanche troppo collaterale del nuovo modo di fare le leggi. Non più un normale disegno di legge del governo con un lungo dibattito parlamentare che consente di approfondire il tema. Ma un decreto legge da approvare a tappe forzate entro 60 giorni e facendo ricorso al voto di fiducia, che in caso di bocciatura fa cadere il governo. Il risultato è che non c’è tempo per affrontare le questioni più tecniche. Ed è pericoloso affrontare in aula gli aspetti più scivolosi. Per questo i decreti legge del governo disegnano il perimetro della riforma. E poi rinviano gli aspetti più tecnici e delicati a provvedimenti successivi, che in Parlamento non passano oppure sì ma solo per un parere. Il governo che ha più accelerato sulla pratica delle norme attuative è stato quello di Mario Monti. Ma quelli venuti dopo si sono messi in scia.

Il governo Conte ha sfornato una legge di Bilancio che prevede 161 provvedimenti attuativi. Il loro numero è praticamente quadruplicato durante l’esame in Parlamento. Non solo perché alcune norme sono state aggiunte in un secondo momento. Ma proprio perché la tecnica del rinvio, un po’ come nella vita, viene spesso utilizzata per disinnescare i passaggi più rischiosi. L’ultima legge che ha fatto salire il conto è il decreto semplificazioni, approvato proprio la settimana scorsa, con 21 norme di secondo livello. Il resto del carico prodotto in casa dal governo Conte è dovuto al decretone su Quota 100 e reddito di cittadinanza (24), decreto Genova (40), decreto sicurezza (9), decreto Carige (5), decreto sulle semplificazioni fiscali (6). Peccato che questo conto sia frutto di un’operazione artigianale, di una conta manuale fatta sfogliando pagina dopo pagina i testi normativi e la Gazzetta ufficiale.

Dal governo Monti in poi, Palazzo Chigi pubblicava report periodici sui decreti attuativi in attesa di emanazione. Quello Conte, su questo punto, è davvero il governo del cambiamento. Ha pubblicato solo un report, a inizio luglio. Un lungo elenco dei 641 provvedimenti ereditati dai governi Renzi e Gentiloni. Su quelli prodotti in casa, invece, la trasparenza somiglia alle «leggi autoapplicative». Un miraggio.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
ALTRE NOTIZIE SU CORRIERE.IT