10 agosto 2018 - 22:53

I dazi di Trump affondano la Turchia
La lira crolla ai minimi, caos in Borsa

Milano la più colpita: perde il 2,5%. Lo spread torna a salire. Erdogan: «Siamo in guerra economica»

di Andrea Nicastro, inviato a Berlino

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Ieri mattina il super presidente turco Erdogan è volato sull’altopiano dietro il Mar Nero, a Bayburt, nella Turchia profonda, mentre nella capitale suo genero (e neoministro di Tesoro e Finanze) Berat Albayrak stava per illustrare agli investitori il «nuovo piano per contenere deficit e inflazione, ma anche garantire la crescita del 3% fino al 2020». Presidente e ministro sapevano del fallimento dei colloqui a Washington di una loro delegazione. E, anche se sui giornali turchi, ormai imbavagliati, non c’e n’era quasi traccia, entrambi volevano rispondere al crollo del tasso di cambio tra lira turca e dollaro. Da inizio anno un calo del 30%.

Il presidente ha parlato al popolo, il ministro ai tecnici, ma suocero e genero assieme non sono riusciti a sterilizzare un singolo tweet lanciato da Donald Trump appena sveglio. In poche ore, a mercati aperti, la somma dei tre interventi provoca un ulteriore crollo del 19% della lira, affonda la Borsa turca e le banche europee creditrici. Istanbul è scesa dell’8,8% per poi recuperare, ma il terremoto arriva lontano. In chiusura Milano fa persino peggio di Istanbul con -2,51 contro -2,3. Lo spread italiano chiude a 267, il livello più alto da due mesi, ma l’esposizione delle banche internazionali sul debito turco colpisce fino a Wall Street. La spagnola Bbva, tra le più esposte, perde il 5,7%.

Lo storico alleato del fianco Sud della Nato, la pietra angolare dell’equilibrio occidentale tra ex impero sovietico e mondo islamico, è in rotta di collisione con gli Stati Uniti. Ormai si contano più i temi di frizione di quelli di sintonia. Erdogan contro Trump. E viceversa. In Siria, sui curdi e sugli islamisti. Sul «golpista» Gülen e sul «pastore complottardo» Brunson. Nei rapporti con Putin e in quelli con Teheran. Con ieri uno dei punti più bassi di sempre. La debolezza della lira mette a rischio la solvibilità di banche e imprese. Per Recep Tayyip Erdogan, però, non c’entrano le politiche espansive di Bce e Federal Reserve, i flussi d’investimento che si spostano dove più alti sono i rendimenti. Per lui è una questione di prestigio nazionale, indipendenza politica, orgoglio personale e strategico. Non intende, Erdogan, «cedere alla cricca dei tassi d’interesse». L’intervento del Fmi sarebbe una vergogna. Lasciare indipendente la Banca centrale turca una sciocchezza. Così la lira continua a cadere.

Cravatta verde Islam e bandiera turca all’occhiello, Erdogan ha arringato il suo popolo, musulmano e nazionalista, non a caso davanti alla moschea e subito dopo la grande preghiera del venerdì. «Siamo in una guerra economica, ma non preoccupatevi, se loro hanno il dollaro, noi abbiamo la nostra gente e il nostro Dio». Scrosci di applausi. «Stiamo lavorando duro, guardate dove eravamo 16 anni fa — quando Erdogan salì per la prima volta al potere, ndr — e dove siamo ora». «Ma se qualcuno ha euro, dollari o oro sotto il cuscino, faccia un’azione patriottica. Vada a cambiarli per lire turche».

Chi l’avesse ascoltato, poco più di un’ora dopo avrebbe perso il 20%. Colpa dell’account Twitter di Trump da dove è partito il messaggio-killer poco dopo il comizio-sermone: «Ho autorizzato il raddoppio delle tariffe su acciaio e alluminio della Turchia». «La lira turca scivola nei confronti del nostro dollaro molto forte». «Le nostre relazioni con la Turchia non sono buone di questi tempi».

Il tweet scatena la corsa a vendere lire turche. L’economia traballa, ma anche le prospettive geopolitiche si fanno fosche. Se gli amici della Nato fanno questo, chi rimane? Nel pomeriggio il presidente turco telefona al Cremlino e Vladimir Putin risponde. Mosca promette un gasdotto e tecnologia nucleare, cioè garantisce energia per crescere e, forse, qualcos’altro. In gennaio a Istanbul si cambiava un dollaro per meno di 4 lire turche. Ieri con un dollaro se ne ricevevano oltre 7. L’intero equilibrio dell’area, non solo economico, è a rischio.

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