22 agosto 2018 - 21:27

Il ritorno di Al Baghdadi: «Soldati resistete»

Il leader dell’Isis torna a farsi vivo dopo un anno e mette a tacere in un messaggio audio le voci lo davano per morto

di Marta Serafini

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Il Califfo è vivo e ancora al comando dell’Isis. La «prova», un audio di 54 minuti, che mette in dubbio ancora una volta le voci che davano il leader dello Stato Islamico per morto. Il canale utilizzato per diffonderlo ieri è quello delle «grandi occasioni», Al Furqan, potente divisione media dello Stato Islamico. L’occasione è invece l’Eid Al-Adha, festa musulmana del sacrificio.

«La vittoria non è nella conquista dei territori ma nelle forza dei nostri soldati», dice Al Baghdadi giustificando così il fallimento della creazione del Califfato, dopo le sconfitte in Iraq e in Siria. È un messaggio come consuetudine zeppo di riferimenti religiosi, il titolo stesso è la sura del Corano che recita «Dà la buona novella a coloro che sono pazienti». Ed è diffuso a quasi un anno dall’ultimo discorso. La voce, secondo gli esperti di intelligence, è sua e l’audio è stato registrato pochi giorni fa, «una decina al massimo». Per provarlo Al Baghdadi fa cenno al conflitto tra gli Sati Uniti e la Turchia riguardo al pastore evangelico Andrew Craig Brunson. E non manca un rimprovero alle milizie siriane, divise tra loro e colpevoli di aver abbandonato Ghouta e Idlib senza battersi fino «all’ultima goccia di sangue» e di aver disertato a Daraa. Poi, le accuse ai giordani e i curdi, colpevoli di tradire gli arabi e il sostegno ai sunniti iracheni Non manca infine l’invito a colpire, «come già successo in Europa e in Canada», con nuovi attacchi.

Il messaggio arriva pochi giorni dopo un rapporto Onu che avverte del pericolo ancora rappresentato dal gruppo terroristico. Secondo gli esperti del Palazzo di Vetro, Isis disporrebbe ancora di 30 mila miliziani, tra cui molti europei, attivi tra Siria e Iraq. Tutt’altro che sconfitto l’Isis avrebbe allargato il suo raggio d’azione.

Abu Bakr Al Baghdadi, secondo le informazioni confermate, è nato nel 1971 a Samarra, in Iraq, da una famiglia sunnita. A Bagdad frequenta l’università di Al Azamiyya, diventa dottore in cultura islamica e sharia. Un vicino di casa, Abu Ali, lo descriverà anni più tardi al Sunday Telegraph come «una persona tranquilla, molto educata». Ha una moglie, successivamente ne prende una seconda che lo definirà in un’intervista televisiva come un uomo «buono con i bambini». Ha dei figli. Poi gli Stati Uniti nel 2003 invadono l’Iraq. Ibrahim Ali al Badri — questo uno dei nomi con cui è conosciuto— si unisce alla resistenza. Nel 2005 viene catturato a Falluja e rinchiuso a Camp Bucca, dove gli americani lo registrano come detenuto comune e dove incontra i leader baaathisti che diventeranno i suoi luogotenenti. Scala i vertici del jihadismo, succede ad Al Zarqawi. Fino al luglio 2014, quando si auto proclama Califfo.

Dato spesso per defunto o ferito, sarebbe stato avvistato l’ultima volta, secondo un testimone intervistato dal Wall Street Journal, a maggio nel 2017 durante un incontro con i suo luogotenenti a Mayadin in Siria. «Era molto magro», ha riferito il testimone. Ma non certo morto.

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