11 aprile 2018 - 21:53

Siria, l’operazione punizione è in fase avanzata: sarà guerra?

Le due linee del governo americano: la prima in favore di un’azione limitata. La seconda per un colpo di maglio che ammonisca sul serio Assad e con lui l’Iran. Nella notte telefonata Trump-Erdogan

di Guido Olimpio

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Ieri Donald Trump aveva avvisato la Russia che «i missili erano in arrivo». Questa mattina ha virato, sempre su twitter: «Non ho mai detto che ci sarebbe stato un attacco in Siria». Ci potrà essere molto presto - ha proseguito - oppure no. Frase che sembra rappresentare una netta frenata mentre il Cremlino comunica che Russia e Usa si stanno parlando attraverso la linea speciale. Contatti per ridurre la tensione al quale parteciperebbero anche i turchi. Insomma, i segnali paiono contrastanti e in qualche modo si incastrano con la posizione del sempre cauto segretario alla Difesa Mattis: «Abbiamo offerto delle opzioni, stiamo ancora valutando la situazione».

I movimenti

A scrutare il cielo si può dire che l’operazione punizione è in fase avanzata. Numerosi aerei cisterna Usa, incaricati di rifornire bombardieri strategici e caccia, sono apparsi nel Mediterraneo. Almeno 5. A Nord e lungo la costa siriana sono tornati quelli per la guerra elettronica e la sorveglianza. I Poseidon P8 decollati da Sigonella, altri partiti da Konia (Turchia) e Creta. Magari, non visto, c’è anche Dragon Lady, il vecchio e affidabile U2. Interessante notare — come segnala su Twitter ItaMilRadar — come il P8 si sia tenuto fuori dall’area dove i russi hanno annunciato esercitazioni. In mare sono pronte almeno tre unità — due americane e una francese — con missili da crociera, sotto di loro un paio di sommergibili, in grado di lanciare ordigni dello stesso tipo. Altri velivoli attendono un ordine nelle basi regionali Usa, da non escludere l’arrivo di B52.

La potenza

Negli Usa sono emerse due linee. La prima in favore di un’azione limitata. La seconda per un colpo di maglio che ammonisca sul serio Assad e con lui l’Iran. In mezzo tanti esperti che predicano cautela, convinti che nulla possa essere risolutivo a meno di non infilarsi in un conflitto ad alto rischio. Un dilemma accentuato dalla triplice anima di Trump: dimostrare che l’America è tornata, sganciarsi dal dossier Siria, recuperare il rapporto con Putin. Su questo c’è un aspetto militare. Attualmente il Pentagono non ha portaerei in Mediterraneo, la Truman è appena salpata e non sarà in zona prima di 10-12 giorni. Di solito quando Washington lancia missioni di ampia portata schiera non una ma almeno due portaerei. Strumenti chiave per avere una superiorità. Tanto più che davanti hanno anche la Russia con il suo dispositivo. Con un particolare. La Navy dando ieri l’annuncio della partenza della Truman, ha precisato che si tratta di una missione «programmata» e normale, quasi a voler sottolineare che non è strettamente connessa allo scontro in Medio Oriente. Il Pentagono esegue gli ordini ma non ha mai mostrato grande fretta di imbarcarsi in un’altra avventura e Mattis lo ha lasciato trapelare spesso. Intanto la premier britannica May ha convocato per oggi una riunione dell’esecutivo ed avrebbe ordinato lo spostamento di alcuni sommergibili.

Gli obiettivi

Come ha spiegato Mattis gli ufficiali stanno esaminando, con gli alleati, le informazioni dell’intelligence per valutare cosa sia avvenuto a Douma mentre altri hanno preparato da tempo le liste di obiettivi. Già un mese fa era pronto un blitz, ma proprio il segretario alla Difesa aveva dato parere negativo e il presidente non si era pronunciato. Tra i possibili bersagli alcune basi (T4, Doumayr), siti coinvolti nel programma chimico (centro di Jomaryah), nonché bersagli governativi. Mosca non sta a guardare. Assad è stato trasferito in luogo sicuro, molti mezzi sarebbero stati spostati e lo scudo di difesa (formato da missili, caccia, navi) è mobilitato. Le unità da guerra hanno lasciato il porto di Tartous per unirsi alle altre già operative al largo, intenso il «traffico» dei loro aerei per la sorveglianza. La Russia, pur attraverso voci minori, ha affermato che abbatterà i cruise Usa e potrà attaccare le «piattaforme» da cui è partita la minaccia. Se vogliono, hanno numerosi obiettivi su cui scaricare una rappresaglia: gli avamposti americani nella zona curda o quello ad al Tanf. Per questo il Pentagono deve stare attento a non coinvolgere personale russo. Dunque equilibrismo politico, tattico e diplomatico. Più tagliente Gerusalemme, secondo segmento della crisi: «Se l’Iran agisce dalla Siria contro Israele, Assad e il suo regime pagheranno il prezzo… Scompariranno dalla mappa». Frasi accompagnate da indiscrezioni sulla presenza degli iraniani. E non a caso, ieri sera Putin ha chiamato Netanyahu chiedendo di evitare azioni destabilizzanti. Lo stato ebraico vuole che il Cremlino metta un freno a Teheran.

La comunicazione

Trump e i russi si sono scambiati colpi in pubblico, usando Twitter. Sarà pure un modo «trasparente» di comunicare, ma non adeguato a un momento dove si rischiano vite. Per la cronaca l’attuale presidente, in campagna elettorale, aveva deriso Obama e i generali perché annunciavano gli attacchi contro l’Isis. Se ne è dimenticato. Poi questa mattina l’improvviso cambio di passo sull’imminenza o meno di un attacco in Siria, un modo di rallentare usando ancora una volta un post su twitter. Gioco pericoloso: i leader - credo - dovrebbero fare un uso più cauto del web, specie quando si parla di scenari come questo. Nel concreto è possibile che sulle mosse della Casa Bianca pesino le considerazioni dei molti rischi per un’eventuale iniziativa bellica. Preoccupazioni espresse anche da alti gradi.

La Turchia

In serata il presidente ha avuto una telefonata con il presidente turco Erdogan, i due si sono lasciati con l’impegno di restare in contatto. Ancora pochi i particolari. I rapporti tra i due Paesi sono pessimi, Ankara vuole che gli Usa sospendano il supporto ai curdi in Siria, partner importante nella lotta all’Isis. E nei giorni scorsi si è ipotizzato che i turchi potrebbero, come ritorsione, impedire l’uso della base di Incirlik ai caccia statunitensi. Sarà interessante capire come si comporterà il Sultano in caso di un’azione militare. Erdogan è solidale con le vittime dei gas, ma voci da Washington riferiscono di resistenze da parte turca. Il capo dello Stato turco ha tuttavia affermato che le relazioni con Russia e Cina non sono alternative a quelle con gli Stati Uniti.

Il nemico

Mike Pompeo, ex direttore della Cia scelto dal presidente americano Donald Trump come prossimo segretario di Stato al posto di Rex Tillerson, deporrà davanti alla Commissione Esteri del Senato per la conferma della sua nomina. Un intervento con alcune anticipazioni uscite sui media: «La Russia continua ad agire aggressivamente, spinta da anni di politica debole verso questa aggressione. Questo ora è finito. Le azioni di questa Amministrazione hanno reso chiaro che la strategia per la sicurezza nazionale di Trump, giustamente, ha identificato la Russia come un pericolo per il nostro Paese».

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