15 aprile 2018 - 22:45

Dalle tasse alla Russia, quei costosi segreti dell’avvocato di Trump

Davanti alla Corte Federale di Manhattan il legale che pagò per il silenzio della pornostar. Risponderà alle accuse di frode bancaria, irregolarità fiscale e violazione delle norme sulla trasparenza delle spese nella campagna elettorale

di Giuseppe Sarcina

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WASHINGTONIl «pitbull di Donald», Michael Cohen, 51 anni, avvocato e sodale del presidente dal 2006, affronta oggi una delle prove più difficili della sua controversa carriera.

Comparirà davanti alla Corte federale di Manhattan per rispondere alle molteplici accuse formulate dal procuratore generale: frode bancaria, irregolarità fiscale e, soprattutto, violazione delle norme sulla trasparenza delle spese nella campagna elettorale. Il suo più insidioso avversario del momento è Michael Avenatti, il legale della pornostar Stormy Daniels, la persona che ha messo nei guai Cohen. Ieri Avenatti ha twittato beffardo: «Per lunedì si prevede un tempo “stormy” (tempestoso) a New York». L’attrice sarà presente in tribunale, ma non è chiaro se verrà chiamata in causa dai giudici. Stormy sostiene di aver avuto una relazione sessuale con «The Donald» nel 2006 e di aver poi ricevuto, in cambio del silenzio, 130 mila dollari da Cohen, il 28 ottobre 2016, undici giorni prima delle presidenziali dell’8 novembre.

Anche Trump si è fatto sentire, naturalmente via Twitter, tornando sull’irruzione dell’Fbi, il 9 aprile scorso, negli uffici e nella stanza d’albergo di Cohen, a New York: «Le garanzie per gli avvocati sono ormai una cosa del passato. Ho molti, (troppi!) legali e adesso probabilmente si stanno chiedendo quando i loro uffici e perfino le loro case, saranno perquisite da cima a fondo, compresi i loro telefoni e computer. Tutti gli avvocati sono giù di corda e preoccupati».

Il «caso Cohen» è diventato centrale per la politica americana, per diverse ragioni. La più visibile: è lui che custodisce i segreti degli intrallazzi sessuali di Trump. Oltre all’assegno versato a Stephanie Clifford, il vero nome di «Stormy», c’è anche un pagamento all’ex modella di Playboy Karen McDougal: 150 mila dollari per ritirare il suo «memoriale» sui rapporti intimi con Trump, sempre nel 2006.

E l’elenco delle donne pagate pare sia molto più lungo. Secondo Avenatti ce ne sarebbero almeno altre nove in condizioni simili.

Ma c’è una pista potenzialmente ancora più destabilizzante. Il Super procuratore Robert Mueller, scrivono diversi media americani, avrebbe raccolto le prove di un viaggio di Cohen a Praga, nel 2016, in piena campagna elettorale. L’avvocato avrebbe incontrato Konstantin Kosachev, presidente del Comitato degli Affari esteri del Senato russo. Il sospetto è che i due avrebbero attivato una collaborazione a sostegno del candidato Trump.

Cohen nega con decisione. E, oggettivamente, c’è qualcosa che non torna, visto che lo stesso Kosachev compare nella lista dei politici e degli oligarchi sanzionati dal governo Trump lo scorso 6 aprile. Si vedrà quando Mueller comincerà a scoprire le sue carte. Per altro è stato proprio il Super poliziotto a segnalare alla Procura di New York tutta una serie di possibili reati commessi da Cohen.

In altri termini, Mueller è l’origine, diretta o indiretta, dei guai di Cohen e, potenzialmente, di Trump. Ecco perché il presidente vuole trovare il modo se non di licenziarlo, almeno di arginare il suo raggio d’azione. In alternativa il leader della Casa Bianca sta pensando di rimuovere Rod Rosenstein, il vice ministro della Giustizia, che ha autorizzato Mueller a passare carte e informazioni su Cohen al Tribunale di Manhattan. Tutto per salvare il «pitbull» in pericolo.

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