16 aprile 2018 - 22:56

Guerra in Siria, quando si «ritirano» gli Usa? Tre ipotesi, Iran permettendo

Gli interventisti al Pentagono spingono per continuare, Trump vuole accorciare i tempiL’interesse dei russi e l’ipotesi di uno scontro fra Israele e Teheran

di Guido Olimpio

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I russi e gli iraniani li ha invitati Assad perché non poteva farne a meno. Senza sarebbe crollato. Gli Usa si sono autoinvitati. I francesi e gli inglesi si sono accodati. I turchi sono «entrati» in chiave anti-curda. Ognuno si è preso la sua fetta in uno stato sovrano debilitato da 7 anni di guerra e dalle sue politiche precedenti. Aspetti riemersi quando il presidente Macron ha sostenuto — per poi rimangiarselo — di aver convinto Trump a mantenere il contingente in terra siriana.

I russi

Oltre alle basi hanno circa 4 mila uomini più i mercenari della compagnia Wagner, elementi spediti a rinforzare i governativi e incaricati di svolgere il lavoro in prima linea. Presenza che garantisce due cose: 1) Evita troppe perdite tra i regolari, poco tollerate dall’opinione pubblica. 2) Permette di giocare sul loro ruolo quando sorgono problemi: li presentano come «privati». Cosa avvenuta quando non pochi sono stati uccisi durante un attacco contro posizioni alleate. Il Cremlino non abbandonerà mai la Siria, gli serve per ribadire la propria influenza, tuttavia vuole evitare trappole e pantani. La fretta con la quale Putin ha detto che tutto era finito lo dimostra, così come i ripetuti annunci di un «ritiro». In realtà le navi continuano a portare materiale.

Gli alleati

Dispongono di 2 mila soldati, in gran parte delle unità speciali. Sono concentrati nel nord della Siria, a Rumeila, Manbij, Arab Isk, area di Deir ez Zour. Altri a sudest, regione di al Tanf. A loro si aggiungono i contractors, che si occupano di interventi che vanno dalla logistica alle azioni belliche. L’ultimo dato ufficiale indica 5.508 tra Siria e Iraq, con 400 impegnati in attività di «sicurezza». La Casa Bianca ha chiesto un rientro al più presto, mossa rallentata dal Pentagono.

Missione a tempo

Da qui l’ipotesi di una missione a tempo. Dai sei mesi in avanti, molto dipenderà da quanto accade. Tre gli scenari: 1) Ci resteranno molto per avere comunque un ruolo regionale. 2) Per contrastare la spinta iraniana. 3) Per fiancheggiare, nel breve, i curdi siriani i quali però rischiano di essere sacrificati. L’ala interventista Usa preme per continuare. The Donald non la vede così e ritiene che debbano essere gli alleati regionali a farsi carico dell’onere. Non solo come «scarponi sul terreno», ma anche come risorse per la ricostruzione. Da qui l’invito ai sauditi a sborsare 4 miliardi di dollari. I francesi sono pure loro nel cantone curdo, in particolare Kobane e Ayn Isa. Poi i britannici che, in omaggio allo stile dei commandos Sas, sono meno visibili. Per scelta e tradizione. Infine i volontari accorsi da Europa e Stati Uniti in difesa del Kurdistan siriano: molti di loro sono morti in prima linea combattendo insieme ai guerriglieri Ypg, contrastati dai turchi. Anche Ankara ha una doppia agenda: fermare i separatisti, disporre di un’opzione sul futuro della Siria.

La forza araba

Lunedì il Wall Street Journal ha scritto che il consigliere per la sicurezza Bolton ha considerato un piano per schierare una «forza araba» composta da sauditi, egiziani, emiratini e qatarioti con il compito di rimpiazzare gli Usa. Infatti vi sarebbero stati dei contatti con i partner. Nel progetto potrebbe anche esserci spazio anche per i soldati-mercenari di Erik Prince, l’ex capo della Blackwater, con grandi agganci nel Golfo – dove già opera – e nell’amministrazione Trump. Le indiscrezioni del quotidiano sono state però accompagnate dallo scetticismo degli esperti: i Paesi coinvolti non paiono per ora all’altezza (vedi disastro in Yemen), ci sono contrasti politici tra loro, sarebbero comunque un «corpo estraneo», è rarissimo che Il Cairo mandi uomini fuori dai confini in modo massiccio. Ma è evidente che questo schieramento potrebbe tornare «utile» in caso di uno scontro – futuro – con Teheran. Le notizie comparse su WSJ servono comunque a testare l’acqua.

La legione sciita

In contrapposizione ai mu-jaheddin sunniti, locali e stranieri, agisce la «legione» composta da diverse migliaia di combattenti inquadrati da Iran e Hezbollah libanese. Sono afghani, pachistani, iracheni che la propaganda di Teheran presenta come «martiri caduti nella difesa di Zeynab», importante santuario sciita vicino a Damasco. Sono in Siria per assistere i governativi, ma domani possono diventare parte dello scontro con Israele. Infatti Gerusalemme — convinta che gli Usa si disimpegneranno — ha colpito spesso depositi e installazioni, tipo la base T4. Il contingente iraniano conta su numerose installazioni (Azzan, l’aeroporto della capitale, a est) e cerca di ampliarle per creare un corridoio che unisca territorio iraniano, Iraq, Libano. Un’analisi uscita sul New York Times ha ribadito ciò che sappiamo: sarà questa la prossima guerra, Israele contro Iran, «meglio allacciarsi le cinture di sicurezza».

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