24 aprile 2018 - 21:46

La scuola del Sud al confine con la Corea di Kim: «Aspettiamo la pace»

Nel villaggio di Tae Sung Dong, a 350 metri dalla frontiera con la Corea del Nord, vivono 201 persone. E c‘è un istituto con 35 bambini a cui i marines insegnano l’inglese

di Guido Santevecchi, inviato a Tae Sung Dong

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Bill Clinton, dopo aver scrutato con il binocolo la terra di nessuno sul 38° Parallelo che spacca la penisola coreana, l’aveva definita «il luogo più spaventoso del mondo». Chi ci manderebbe i figli a scuola? Siamo a Tae Sung Dong, villaggio sudcoreano di contadini nella Dmz, la Zona demilitarizzata tra le due Coree. Il confine con il Nord è a 350 metri. Panmunjom, dove Kim Jong-un arriverà venerdì 27 per il primo incontro con il presidente sudista Moon Jae-in, è a un chilometro. Un soldato ci indica una serie di colline sul versante nordista: «Lì ci sono i loro cannoni, anche pezzi da 240 millimetri e lanciarazzi nascosti in grotta, se aprissero il fuoco tutti insieme farebbero una strage a Seul che è solo 60 chilometri a Sud, ma noi siamo qui per impedirglielo».

Ci sono 201 abitanti a Tae Sung Dong. Il numero è precisissimo perché lo tengono i militari sudcoreani e americani schierati qui intorno per evitare infiltrazioni da parte dei nordcoreani o rapimenti di civili e ogni sera alle 23 fanno la conta dei residenti. Poi scatta il coprifuoco fino alle 8 del mattino. Non proprio un villaggio ridente, Tae Sung Dong è stato mantenuto in questa prima linea surreale perché il governo di Seul vuole dimostrare che la sua gente non ha paura. Lo stesso hanno fatto i nordcoreani, ma il loro villaggio, a un chilometro di distanza, è disabitato: guardando con i binocoli si vedono le costruzioni verde pallido dei nordisti, scrostate e senza vetri alle finestre, sembrano scheletri.

Nel villaggio sudista invece c’è anche la scuola elementare con 35 bambini, ma solo 8 sono figli di agricoltori che vivono nella Zona demilitarizzata, in realtà l’area a più alta concentrazione di soldati e armi del pianeta. Gli altri 27 vengono da fuori, ogni mattina con lo scuolabus attraverso i checkpoint. Anche l’idea di aprire questo istituto agli esterni è del governo di Seul, costretto a trovare bimbi di rinforzo per evitare di dover tenere aperto solo per una mezza dozzina di piccoli.

I soldati impediscono di disturbare i bambinetti che stanno in classe, cinque per aula, ad ascoltare il maestro e a fare i compiti con l’iPad. I militari del battaglione speciale vogliono bene a questi scolari, gli americani si prestano a fare gli insegnanti d’inglese. Proprio le lezioni di madre lingua inglese hanno reso ambita l’improbabile scuoletta di campagna ad alto rischio: ci dicono che ora c’è la lista d’attesa per venire dai paesi fuori dalla zona chiusa. I marines proteggono i loro allievi dalle domande indiscrete e scontate tipo: avete paura a stare qui? È già abbastanza averli costretti ad essere protagonisti di un reality show di guerra fredda, con gli altoparlanti della propaganda che per anni, da un fronte e dall’altro, si sono scambiati musiche patriottiche a tutto volume, insulti e inviti a disertare. Poi c’è il contrappello notturno e magari l’incubo che venga il nordista cattivo a rapirti (è successo davvero, negli Anni 60). Un soldato che ci accompagna si scusa quando si sentono un paio di esplosioni vicine: «Esercitazioni puramente difensive».

Tae Sung Dong in coreano significa «Paese del Grande Risultato», ribattezzato «Peace Village». Si parla molto di pace da queste parti, forse perché non c’è mai stata, a memoria d’uomo. Per venirci da Seul bisogna chiedere l’autorizzazione, passare un paio di checkpoint dell’esercito, filo spinato, un muraglione anticarro alto due metri. La gente del posto è trattata un po’ come una specie in via d’estinzione allo zoo. Tae Sung Dong esibisce un’asta per la bandiera sudcoreana alta 98 metri; i nordisti hanno risposto con un traliccio da 160 metri che domina il loro villaggio fantasma. Oggi i due drappi sono immobili in una giornata nuvolosa e senza vento, sembrano stanchi di essersi sfidati per 65 anni. Da lunedì sono stati spenti anche gli altoparlanti delle due propagande.

Il sindaco Kim Dong-koo ci dice che «il nervosismo è diminuito» ma ricorda che «l’ultima grande giornata di paura risale allo scorso novembre, quando un soldato nordista disertò qui vicino, inseguito dalle raffiche di mitra dei commilitoni e ci fu ordinato di chiudersi in casa». Ora la speranza che il vertice tra Moon e Kim venerdì porti una svolta di riconciliazione, che porrebbe termine al loro isolamento e alle loro paure, ma anche ai privilegi di essere un avamposto di uomini (e bambini) perduti: non si pagano tasse, appezzamenti di terra più grandi della media sudcoreana, niente servizio militare di 21 mesi per i maschi per incentivarli a restare.

Ultimo sguardo alla scuola. Sulle pareti del corridoio i disegni dei bambini: calciatori, gatti, sorelle, bandiere americane, cacciabombardieri. Fuori, un campetto di calcio e un rifugio in cemento. Si addestrano anche a correre al riparo in caso di attacco. E due volte all’anno saltano sul bus, ma non per andare in gita: simulano l’evacuazione generale. Forse il reality show sta per finire.

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