27 aprile 2018 - 21:05

Iniesta emigra in Cina e si porta dietro il vino dedicato ai suoi gol

Dopo il Barcellona, il centrocampista fa affari in Asia. La previsione è di vendere 2 milioni di bottiglie all’anno della cantina di famiglia

di Carlos Passerini

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Verrebbe da scegliere, vista la vicenda, l’immagine classica del vino buono nella botte piccola se non fosse che non funziona perché Andrés Iniesta è stato molto più di un buon vino.

Piccolo per la statura, un metro e settanta, e ancor di più per quell’aria da eterno ginnasiale che s’è portato a spasso per i centrocampi fino a questi ultimi tempi nel calcio che conta, ma troppo grande in tutto per un’etichetta normale: libero ognuno di scegliere l’abbinamento che preferisce, basta si resti fra i superlativi perché un altro centrocampista del suo talento «tarderà ad arrivare», per dirla alla Brera, uno che di bottiglie e di pallone ne capiva a tal punto da riuscire a convincerti che fra bottiglie e pallone esistesse davvero un denominatore comune.

«Non voglio ingannare nessuno — ha ammesso ieri fra le lacrime l’Illusionista — perché sto per compiere 34 anni e ho dato tutto per il Barcellona, credo sia arrivato il momento». Che a fine stagione avrebbe lasciato la squadra in cui era arrivato a dodici anni non è una notizia, nel senso che lo sapevamo tutti da un pezzo, lui per primo, troppo intelligente per non rendersi conto che a quell’età il meglio era alle spalle come uno dei tanti avversari scansati in 22 magnifiche stagioni di calcio, tutte nello stesso club «che è più di un club», come dicono fieri i tifosi culé.

Ieri è arrivata la motivazione pubblica, una confessione tanto dura quanto lucida, semplice ma esatta come il suo fútbol: «Me ne vado perché da qui in poi non potrei più dare il massimo, e se succedesse ne soffrirei troppo».

Smette infatti col Barcellona, non col calcio. Andrà in Cina, il trasferimento è previsto per agosto, al termine del Mondiale russo. Dopo otto campionati spagnoli e col nono ormai a un passo, quattro Champions League e tre Coppe del mondo per club, dopo il Mondiale 2010 e gli Europei 2008 e 2012 vinti con la Spagna, la prossima squadra di Don Andrés sarà con ogni probabilità il Lifan di Chongqing, città di sette milioni di abitanti nella parte centromeridionale del Paese.

È qui che c’entra il vino. Il suo. Quello che la sua famiglia produce a Fuentealbilla, la città natale in Castiglia-La Mancia, in una tenuta chiamata Bodega Iniesta che Andrés ha comprato al padre — una cantina di proprietà era il sogno della vita del señor José Antonio — e dalla quale d’ora in poi partiranno due milioni di bottiglie l’anno proprio verso la Cina: un gigantesco accordo commerciale che sarebbe proprio alla base della decisione di accettare l’offerta di una squadra attualmente solo sesta nella Super League cinese.

Calcio e vino, un modo insomma per continuare a portare avanti le due passioni di una vita senza rinunciare all’una o all’altra, come invece hanno fatto altri suoi colleghi che alle vigne si sono dati solo a carriera chiusa, tipo Andrea Pirlo (Montenetto Igp a Capriano del Colle, Brescia), Damiano Tommasi (Valpolicella Ripasso e Amarone a Fumane, Verona), Paolo Rossi (Sangiovese a Poggio Cennina a Bucine, Arezzo) o l’ex allenatore Alberto Malesani (Valpolicella, Amarone e Recioto a Trezzolano, Verona).

Anche lo juventino Andrea Barzagli, che pure è ancora in attività, è un grande appassionato: è socio di un’azienda agricola in provincia di Messina che lavora solo su vitigni autoctoni e produce bottiglie di alta qualità come il Faro Casematte, aggiudicatosi tre volte i 3 bicchieri del Gambero rosso. Il tecnico dell’Inter, Luciano Spalletti produce a Montaione vicino a Firenze un Toscana Igt dal nome evocativo, Bordocampo.

Il prodotto di punta di Iniesta si chiama invece Minuto 116, ispirato all’attimo in cui nel 2010 segnò il gol vittoria all’Olanda della finale mondiale. In fondo, è vero che calcio e vino qualche affinità la possono avere. Specie nel marketing.

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