21 dicembre 2018 - 22:45

Afghanistan, Trump dimezza la missione. L’addio di Mattis: «Troppe ambiguità»

La lettera del capo del Pentagono: ho altri valori. Il presidente: guerre inutili. Allarme tra gli alleati

di Giuseppe Sarcina, corrispondente da Washington

Afghanistan, Trump dimezza la missione. L’addio di Mattis: «Troppe ambiguità»
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Il mondo si interroga su che cosa farà il governo americano, senza James Mattis al Pentagono. La risposta di Donald Trump è immediata: dopo aver annunciato il ritiro totale dalla Siria, si prepara a dimezzare il robusto contingente in Afghanistan. Torneranno a casa circa 7 mila soldati sui 14 mila dislocati sul territorio. Un altro strappo clamoroso. Il 6 dicembre scorso, il generale Joseph Dunford, il capo di stato maggiore delle forze armate statunitensi, aveva avvertito: «Ridurre la nostra presenza non solo provocherebbe instabilità, ma darebbe ai gruppi di terroristi lo spazio per pianificare ed eseguire attacchi contro il nostro Paese».

Fuori Mattis, via dalla Siria, un passo indietro in Afghanistan. A questo punto gli alleati europei e mediorientali degli Stati Uniti sono in pieno allarme. Per i leader di Russia, Cina, Iran e Corea del Nord, invece, la confusione di Washington è di per sé una buona notizia.

Ieri mattina Trump ha affrontato la nuova burrasca, probabilmente la più forte da quando è alla Casa Bianca, chiuso nel fortino di Twitter: 14 messaggi nel giro di tre ore. Il presidente ha rivendicato la linea dura, «ma corretta» nei confronti di Russia e Cina: «Nessuno è stato più deciso di me»; ha difeso la scelta di ritirare i militari; si è autoproclamato il presidente più efficace nella guerra contro l’Isis. Poi è passato al fronte interno, scaricando sui democratici la concreta possibilità dello shutdown, la paralisi dell’amministrazione federale che potrebbe scattare (nelle prime ore di questa mattina in Italia) se il Congresso non avrà trovato un compromesso sui 5,7 miliardi di dollari destinati alla costruzione del Muro al confine con il Messico.

Trump ha dedicato a Mattis un paio di flash, «ringraziando» il generale e annunciando che «un nuovo Segretario della Difesa sarà nominato presto». Come dire: caro Jim, faremo a meno anche di te.

Il trauma nella politica americana, in realtà, è profondo. II Segretario alla Difesa, 68 anni, il comandante dei marines soprannominato «cane pazzo», veterano di tre guerre (Golfo, Afghanistan, Iraq) ha comunicato l’intenzione di lasciare, inviando una lettera al presidente. È un testo a suo modo spietato: non ci sono i soliti alibi, come «la famiglia» (che per altro «il monaco» Mattis non ha) o «la pensione». No, il conflitto con la Casa Bianca è tutto e solo politico. Basta leggere questi due passaggi: «Una delle mie convinzioni più radicate è che la nostra forza come nazione sia inestricabilmente legata alla forza del nostro sistema, unico nel suo genere, di alleanze e di partnership...Noi non possiamo proteggere i nostri interessi e far fronte al nostro ruolo senza preservare forti alleanze e mostrare rispetto a questi alleati». E ancora: «Penso che dobbiamo mostrarci decisi e non ambigui nel nostro approccio rispetto a quei Paesi i cui interessi strategici sono sempre di più in contrasto con i nostri. È chiaro che la Cina e la Russia, per esempio, vogliono plasmare un mondo compatibile con il loro modello autoritario».

Ecco, dunque, che cosa è in gioco per Mattis, per i generali, per una gran parte del Congresso, per i servizi segreti: la ridefinizione degli equilibri tra «alleati» e «avversari».

A tutto ciò Trump antepone le sue promesse elettorali: «America First», il disimpegno «dalle guerre inutili e lontane». Ma si muove in modo spericolato, incurante delle conseguenze. Sulla Siria, per esempio, ha dato più ascolto al presidente turco Recep Tayyip Erdogan che al capo del suo esercito. Il 2 dicembre scorso, Mattis non era presente al vertice tra Trump ed Erdogan, a Buenos Aires, dove si è discusso anche di Siria. I due leader si erano sentiti per telefono anche il 14 dicembre scorso. Secondo il Washington Post è stato in quel momento che Trump ha deciso definitivamente di lasciare campo libero all’offensiva dei turchi contro i curdi, nel nord-est della Siria.

A Washington si chiude così la breve stagione dei «generali» al potere. C’è sempre qualcuno, però, che pensa di poter governare con Trump. Ora la figura più importante è il Segretario di Stato, Mike Pompeo, un ex parlamentare con solidi legami nell’ala più conservatrice del partito repubblicano. In questi giorni si è esposto in una serie di interviste televisive per difendere le scelte del presidente senza riserve. Vedremo se, o forse sarebbe meglio dire quanto durerà anche Pompeo.

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