21 dicembre 2018 - 10:37

Catturato a Gibuti il terrorista Cherif Mente della strage di Charlie Hebdo

Il jihadista ora sarà estradato in Francia. L’infanzia difficile, la conversione all’islam radicale, i combattimenti in Iraq e Yemen e i contatti costanti con gli autori del massacro

di Guido Olimpio

Catturato a Gibuti il terrorista Cherif Mente della strage di Charlie Hebdo
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Peter Cherif è in manette. L’uomo sospettato di aver avuto un ruolo – in remoto – nel massacro di Charlie Hebdo è stato preso a Gibuti, nel Corno d’Africa. Ora è attesa la sua estradizione: una volta in Francia potrà essere indagato meglio il profilo di un “migrante della Jihad”.

Ragazzo difficile

Il percorso dell’estremista è il solito, con qualche particolare significativo. Padre antillese e cristiano, mamma tunisina, Peter diventa presto un ragazzo difficile. Non ancora maggiorenne si infila nel crimine comune. Furti, violenze, vita ai margini. Scopre l’Islam nel 2003, anno nel quale si converte, un passo importante seguito dalla partenza per l’Iraq. Cherif è reclutato dai qaedisti in patria, quindi si unisce alla guerriglia che combatte le forze Usa. È catturato nella zona di Falluja – teatro di battaglie cruente -, evade, si trasferisce in Siria e rientra in Francia dove sconta una pena di 18 mesi di prigione. E’ la fine del primo capitolo.

Lo Yemen

Cherif, in cerca di nuovi fronti, riparte per lo Yemen: nella penisola arabica entra nelle fila di al Qaeda, fazione ben radicata, capace di operazioni all’interno e sul «lungo raggio» in quanto attira/ispira molti volontari europei. È in questa cornice che il terrorista avrebbe cooperato con Said e Cherif Kouachi, i due militanti protagonisti dell’assalto contro la rivista satirica Charlie Hebdo, nel dicembre 2015. Gli inquirenti avrebbero trovato spunti interessanti, tracce di contatti via web, probabilmente anche dati forniti dall’intelligence. Per questo è stato presentato dai media come uno dei possibili mandanti dell’eccidio nella redazione, insieme alla sparatoria nel negozio kosher di Parigi. C’è però molto da chiarire e dunque è rilevante che finalmente sia nelle mani della Giustizia. Sempre che accetti di parlare.

L’ultimo rifugio

L’ultimo aspetto riguarda il luogo dell’arresto. Le segnalazioni risalenti al 2012 lo collocavano in una zona precisa dello Yemen, ad al Jouf, un feudo di al Qaeda. Strano che abbia lasciato il santuario yemenita, a meno che non temesse di essere liquidato da un drone. Oppure ha raggiunto Gibuti per una nuova missione. Il problema per lui è che il mini-stato che si affaccia sulla porta del Mar Rosso è presidiato in modo massiccio. Francia, Usa, Cina, Italia, Giappone hanno basi militari, i servizi di sicurezza sono in guardia e il governo è amico di Parigi.

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