18 giugno 2018 - 22:40

Paul, 80enne in bici da Berlino a Londra: il viaggio che lo salvò dai nazisti

Paul Alexander, ebreo, aveva 19 mesi quando sua madre lo affidò a una sconosciuta per metterlo in salvo dal nazismo. «Rifaccio il viaggio in bici, è la mia risposta a Hitler»

di Francesco Giambertone

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A vederli abbracciati nelle loro tutine da bici, caschetti in testa e occhiali da sole, tutti sorridenti per una foto a Friedrichstrasse, potevano sembrare un gruppo di ciclisti qualunque. Invece quei 42 patiti della bicicletta riuniti sotto il cielo della capitale tedesca erano lì per cominciare un viaggio unico nella Storia e nella memoria. Partiti domenica dal cuore di Berlino, pedaleranno per sei giorni e oltre mille chilometri per raggiungere Londra. Non (solo) per il gusto dell’impresa sportiva, ma per il significato di quel viaggio.

È il viaggio di una vita, quella di Paul. E di altre diecimila. Le vite dei bambini che il «Kindertransport», il programma di trasporto per minori non accompagnati approvato nel 1938 dal governo Chamberlain, mise al riparo dagli orrori del nazismo facendoli rifugiare in Inghilterra (a spese della comunità ebraica). Tra loro c’era il piccolo Paul Alexander, che oggi — a 79 anni da quella fuga in treno, quand’era poco più che un lattante — percorrerà in bicicletta il viaggio che gli salvò la vita.

«È la mia risposta a Hitler — racconta al Corriere da Hannover, traguardo della seconda tappa — e un modo per celebrare la mia vita: mi sono sposato, ho lavorato, ho avuto una bella famiglia. Sono stato fortunato». È diventato padre di tre bambini, poi nonno di altri nove. Con lui e altre 39 persone — tutti parenti di quei bambini salvati — ci sono anche un figlio e un nipote, Nadav e Daniel: «Quest’avventura ha anche un valore educativo per loro». Vivono tutti in Israele, dove Paul ha costruito la sua carriera da avvocato. Un’esistenza che il nazismo voleva negare e che un treno, sua madre e un’infermiera sconosciuta resero possibile quasi 80 anni fa.

L’inferno era arrivato nella Notte dei cristalli, tra il 9 e il 10 novembre del ‘38: i nazisti deportarono e uccisero centinaia di ebrei tra Germania, Austria e Cecoslovacchia. Suo padre Alfons fu rinchiuso nel campo di concentramento di Buchenwald. Sua madre Eva, che di bambini ne aveva già persi due, entrambi durante il parto, per salvare la vita al piccolo Paul avrebbe fatto qualunque cosa. Si straziò per mesi, poi si decise: a luglio del 1939, quando il bimbo aveva un anno e mezzo, alla stazione di Lipsia lo mise tra le braccia di una volontaria, su un vagone diretto in Inghilterra. «La vera eroina di questa storia è mia mamma: immaginate quanto sia difficile accettare l’idea che potresti non rivedere più tuo figlio», spiega l’ottantenne. Non andò così: little Paul, arrivato nel Regno Unito passando da Berlino, fu affidato alla famiglia del benefattore Harry Jacobs, che lo crebbe per tre anni anche grazie ai fondi del World Jewish Relief, un’associazione di mutuo aiuto della comunità ebraica. Fin quando gli Alexander riuscirono a riunirsi, tre anni più tardi: il padre era stato liberato da Buchenwald, la madre si era finta una ricca nobile per lasciare la Germania a bordo di un treno di prima classe quattro giorni prima che scoppiasse la guerra.

«Dopo il ricongiungimento ho avuto un’esistenza felice. La devo ai miei genitori e al governo inglese, l’unico che ebbe un’iniziativa del genere». Al telefono, dopo 297 chilometri pedalati in due giorni, oggi Alexander racconta che «è la corsa più tosta che abbia mai fatto, ma sta andando alla grande». Ciclista da sempre, si è allenato duramente per due mesi. «Ho scoperto di questa commemorazione ad aprile dell’anno scorso e ho pensato: la farò, devo farla». Venerdì all’arrivo a Londra troverà tutta la famiglia ad attenderlo. Poi tornerà in Israele, dove vivrà un’altra settimana incredibile. «Il principe William verrà in visita di Stato: ha voluto incontrarmi, gli racconterò la mia storia al museo dell’Olocausto di Gerusalemme». In confronto al resto, per Paul sarà una scampagnata.

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