3 maggio 2018 - 11:01

La vedova del Nobel Liu: «Senza libertà potrei lasciarmi morire»

La donna è ai domiciliari da otto anni, da quando il marito è stato insignito del Premio per la pace. Un amico scrittore esule a Berlino ha raccolto il suo sfogo: «Mi avevano promesso che avrei potuto andare in Germania, ho perso ogni speranza, usare la morte per sfidare il regime è semplice per me»

di Alessandra Muglia

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Non ce la fa più a vivere da reclusa e sarebbe pronta a lasciarsi morire la vedova del dissidente cinese Liu Xiaobo. Da quando il marito è stato insignito del premio Nobel per la pace, otto anni fa, Liu Xia, poetessa e fotografa di 57 anni, è costretta a vivere agli arresti domiciliari nella sua casa di Pechino, pur senza mai essere stata accusata di alcunché. Lo ha rivelato un suo amico scrittore, Liao Yiwu , cinese esule a Berlino, dopo averle parlato al telefono. I Il regime le impedisce di lasciare la Cina e Liao dice di averla trovata fortemente depressa per questo. «Oggi non ho più paura di niente. Se non posso partire, mi lascerò morire a casa (...). Usare la morte per sfidare il regime non potrebbe essere più semplice per me» dichiara la donna in lacrime, nella registrazione nella trascrizione della telefonata riportata dal suo amico in un post su Facebook (con registrazione audio di 16 minuti e mezzo, di cui 7 pubblicati su ChinaChange.org, sito che ospita le battaglie per i diritti civili in Cina).

La promessa di un permesso di espatrio mai arrivato

Per Liu Xia la libertà resta un miraggio anche dopo la morte del marito , stroncato nel luglio scorso da un cancro al fegato, mentre stava scontando una condanna di 11 anni per aver contribuito alla scrittura della Charta 08, manifesto per la democratizzazione della Cina sottoscritto da oltre 300 intellettuali e attivisti.
Dopo la scomparsa del Nobel — riferisce l’amico da Berlino — le autorità di Pechino avevano consigliato alla donna di attendere con pazienza l‘autorizzazione da lei richiesta per poter lasciare il Paese e recarsi in Germania. All’inizio di aprile sembrava che l’atteso momento fosse arrivato: l’ambasciata tedesca era pronta a organizzare la trasferta a Berlino, le aveva riferito l’ambasciatore a Pechino girandole gli auguri di Angela Merkel. «Dopo quella telefonata, preparai subito le valige. Non persi tempo — cos’altro volete da me?» singhiozza disperata la donna.
Qualcosa deve essere andato storto nelle trattative tra Pechino e Berlino, l’operazione è saltata, e Liu Xia è ancora prigioniera in casa. E in questa altalena di promesse e smentite, persa ogni speranza, pensa alla morte come gesto estremo di dissidenza.

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