4 maggio 2018 - 22:29

Voglia di disco, parabole, Occidente
Ma il mondo è più lontano dall’Iran

Attraversando il Paese, mentre gli Stati Uniti decidono se rinnegare l’accordo nucleare

di Massimo Gaggi, da Teheran

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L’iman che nella moschea di Kashan ti viene incontro, il badge con su scritto «religious consultant» bene in vista, cerca di convincerti che, per quanto l’Iran sia una repubblica islamica, a Teheran governano i laici: «Le gerarchie religiose non fanno politica, a parte alcuni indirizzi etici generali».

La gente che incontro nel lungo viaggio attraverso l’Iran non crede a tutto ciò. Non lo credono i conservatori che si sentono al sicuro tra le braccia degli eredi di Khomeini, né i progressisti che volevano portare l’Iran del dopo scià verso la socialdemocrazia. E neanche i tanti scontenti che non hanno visioni politiche strutturate ma giudicano il regime inefficiente e corrotto.

Qualcuno come Amir, un commerciante di Shiraz con cui guardo in tv il messaggio nel quale il premier Netanyahu accusa Teheran di aver violato l’accordo nucleare, fa un paragone con l’ultimo scià: «Lui vinse la guerra con l’Iraq in tre giorni, questi ci hanno messo 8 anni».

Ma le parole di Netanyahu fanno infuriare tutti e i più preoccupati sono proprio i riformisti. Hanno puntato tutto sul presidente Rouhani, sul suo sforzo di apertura politica ed economica dell’Iran al mondo. Ora il loro leader rischia di essere schiacciato da un ritorno delle sanzioni.

«Fin qui — spiega l’ambasciatore italiano in Iran Mauro Conciatori — Rouhani, per quanto contestato dalla destra religiosa, ostacolato dai pasdaran (l’organizzazione paramilitare che controlla l’esercito, ndr) e dai basiji (gli attivisti infiltrati nella società iraniana, ndr), ha avuto l’appoggio della guida suprema Ali Khamenei. Che per quanto scettico sulla tenuta dell’accordo del 2015, gli ha riconosciuto il merito di aver comunque rotto l’isolamento del Paese ridandogli credibilità davanti a Europa, Russia e Cina».

Una denuncia dell’intesa potrebbe essere un salto nel buio per Rouhani, già in difficoltà per non aver avuto l’appoggio che si aspettava dagli europei per sostenere la modernizzazione dell’Iran con capitali diversi dai quelli dei militari. Sono infatti i pasdaran che oggi controllano attraverso banche e industrie le principali leve dell’economia iraniana. Un equilibrio che Rouhani sta faticosamente cercando di cambiare. Per questo l’eventuale strappo di Trump del 12 maggio tiene governi e analisti con il fiato sospeso.

Ma per le strade di Teheran, Shiraz e Yazd il clima è diverso. «Gli iraniani sono pragmatici per natura e tendono a non drammatizzare, sono sopravvissuti senza grandi scosse alle sanzioni e pensano che anche questa volta non succederà nulla di irreparabile», dice l’ambasciatore Conciatori.

Anche il governo iraniano, imbottito da Rouhani «laureato in Scozia» di tecnocrati usciti da grandi università anglosassoni scommette sul senso di responsabilità del Mossad e dei capi militari israeliani. Preoccupa di più il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, leader emergente del mondo sunnita che, temono alcuni, potrebbe cercare di farsi consegnare dal Pakistan alcune delle bombe atomiche costruite nell’ambito di un programma a suo tempo finanziato proprio da Riad.

Un altro imam in una moschea di Isfahan ti spiega che l’Iran combatte in Siria e accentua la sua presenza in Libano non perché cerchi di alimentare il timore di un nemico esterno, esorcizzando così la crisi economica interna, ma perché il Paese è assediato dai suoi nemici storici: i sauditi ma anche gli americani e gli inglesi. Assad è semplicemente un amico che ha chiesto aiuto. L’egemonia russa nell’area nemmeno compare in questa narrazione. Nessuno nelle strade crede a tutto ciò, ma i giovani dopo anni di proteste ora mostrano meno interesse per la politica. Si ha quasi la sensazione di un compromesso: loro non scendono in piazza e il regime li lascia più liberi di esprimere nel privato la loro grande voglia di Occidente: musica, cinema, abbigliamento. Ovunque le vetrine sono piene di manichini che ricordano il Travolta della Febbre del sabato sera. Internet è controllato, ma i ragazzi trovano il modo di aggirare i divieti. Arrivano trasmissioni tv da tutto il mondo comprese quelle della Bbc con parabole in teoria proibite ma che spuntano dai terrazzi dell’80% delle case. Anche il governo, critico con l’Occidente, in realtà preferisce di gran lunga il dialogo con le imprese e i governi europei — francesi, tedeschi, italiani — a quello con la Russia, vissuta come una sorta di potenza coloniale, e con la Cina, che sta entrando massicciamente nel mercato iraniano e che per questo viene vista con preoccupazione.

L’Iran di oggi tiene soprattutto alla sua immagine di potenza regionale con storia millenaria che non ha paragoni nell’area e proprio per questo perfino il regime islamico consente che venga diffusa con orgoglio l’immagine degli antichi imperi, di Zoroastro, e perfino la storia dello scià. Le cui residenze sono museo curatissimo nel quale vengono esposti perfino i vestiti di Farah Diba e i giocattoli del figlio dell’ultimo imperatore.

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