25 maggio 2018 - 22:51

Governo, siamo già diventati più poveri: in 3 settimane bruciati 200 miliardi

Cancellato l’effetto whatever it takes di Draghi

di Federico Fubini

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Dai neonati ai centenari, ogni residente in Italia nelle ultime tre settimane è diventato in media un po’ più povero. Le perdite nei risparmi di chi vive nel Paese sono state di quasi duemila euro per abitante. È difficile un calcolo esatto di quanto valore abbiano polverizzato azioni, obbligazioni o bond bancari da quando l’orizzonte di un governo fra M5S e Lega si è fatto più concreto. Ma i titoli di Stato con più di un anno di vita davanti hanno bruciato circa 65 miliardi; le obbligazioni emesse dalle aziende oltre venti; quelle emesse dalle prime tre banche del Paese hanno perso quasi sessanta miliardi di euro dalla prima settimana del mese e le azioni in Piazza Affari almeno altri cinquanta. Senza considerare i crolli nei titoli di debito a breve scadenza o in quelli legati all’inflazione. Nel complesso, il valore finito in fumo è di circa duecento miliardi in meno di un mese: quasi il doppio delle risorse che il «contratto di governo» si propone di distribuire in cinque anni.

Naturalmente le due grandezze non sono davvero paragonabili, se non altro perché le quotazioni di bond o azioni possono risalire. È anche normale che le perdite per ora siano distribuite anche tra gli investitori esteri. Ma il ruolo predominante dei risparmiatori e delle società italiane avvicina a un’erosione media di patrimonio appunto di quasi duemila euro per abitante dalla prima settimana di maggio. Queste cifre parlano, eppure neanche loro possono dire come sia stata possibile una simile distruzione. La scomparsa di 200 miliardi da «Italy Inc.»: cosa può aver aperto un cratere del genere, mentre il premier incaricato non ha neppure iniziato a lavorare e la Banca centrale europea continua a sostenere anche l’Italia?

In teoria se il «contratto» fosse applicato alla lettera il costo a deficit sarebbe fra il 7 e il 9 per cento del reddito nazionale all’anno. Ma non è credibile che il timore per questo abbia messo in fuga tanti capitali, anche italiani. M5S e Lega non si sono mai vincolati a cifre e scadenze precise. Entrambi hanno vinto le elezioni con programmi chiari, è normale che tentino di eseguirli e in questi casi i mercati concedono almeno il tempo di un tentativo.

No, la ragione del cratere dev’essere più profonda e va al cuore del conflitto attorno al nome di Paolo Savona. Il ministro dell’Economia che gli alleati gialloverdi propongono ha scritto molte volte che, secondo lui, sarebbe giusto uscire dall’euro e non rimborsare il debito pubblico per intero e nei tempi previsti. Ma il primo compito di ogni ministro dell’Economia è proprio di essere garante del debito esistente e dei circa 400 miliardi l’anno di nuovo debito che il Tesoro deve collocare per pagare gli stipendi, le pensioni o la sanità. Gli investitori oggi stanno fuggendo dall’Italia perché non si fidano del tipo di garanzia rappresentata da un profilo, pur rispettabile, come quello Savona: chi può comprare titoli di Stato emessi da un ministro che fino all’altro giorno propugnava l’idea di non rimborsare o di farlo in una nuova moneta svalutata? Il fatto stesso che Lega e M5S insistano dopo il rifiuto del Quirinale destabilizza i mercati anche nell’ipotesi che Savona non passasse, perché mostra che le due forze politiche non si preoccupano di questa contraddizione.

Dunque 200 miliardi di ricchezza italiana sono già andati in fumo non per timore del deficit, ma di un rischio sistemico: default e uscita dall’euro come intenzioni attribuite a chi si candida governare. Nessuno vuole farsi cogliere allo scoperto in quel momento, se arrivasse. Non è un caso se i crolli drammatici siano iniziati con la prima bozza di «contratto» che ipotizzava uscita dall’euro e default; poi sono proseguiti con i piani di «moneta parallela» sotto forma di mini-Bot e le dichiarazioni contro l’euro dei responsabili economici della Lega.

In Europa il rischio sistemico — che i vostri risparmi vi siano rimborsati in una moneta povera — era stato sradicato dal «whatever it takes» di Mario Draghi nel 2012: l’impegno del presidente della Bce a fare «qualunque cosa serva» per preservare l’integrità dell’euro. Il terremoto dei mercati finì così. Ora l’effetto del «whatever it takes» è stato distrutto per la sola Italia. E stavolta non può essere Draghi a ricomporlo.

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