30 maggio 2018 - 10:35

Il killer di Liegi: detenuto per droga ha ucciso un amico prima della strage

Aveva 36 anni, dal 2003 entrava e usciva dal carcere dove si era radicalizzato. Era in permesso: doveva scontare una pena fino al 2020. «Soldato del Califfato»: la sua azione rivendicata dallo Stato Islamico

di Guido Olimpio

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Un uomo violento, instabile, che forse ha abbracciato l’Islam radicale in carcere. Figura sfuggente capace di compiere una strage imitando i mujaheddin. E’ questo il profilo – da definire – di Benjamin Herman, autore dell’attentato di Liegi costato la vita a quattro persone. Le autorità hanno rivelato che l’omicida ha assassinato un suo amico prima dell’assalto. Altro particolare: la donna delle pulizie prese in ostaggio all’interno della scuola sarebbe stata risparmiata perché di fede musulmana. L’aggressore le ha chiesto se osservasse il Ramadan ed ha poi sostenuto che il suo obiettivo «era far rosolare i poliziotti». Poco dopo si è lanciato fuori dove è stato centrato dal tiro delle unità scelte. Gesto rivendicato, nella serata di oggi, dallo Stato Islamico che lo ha definito - al solito - «un soldato del Califfato».

Trentasei anni, criminale comune, Herman ha iniziato a entrare e uscire dalle prigioni belghe fin dal 2003. Nei suoi precedenti ci sono furti, assalti, traffici di droga e tanta violenza. Rinchiuso in un penitenziario per una nuova condanna era in contatto con alcuni detenuti islamisti. Secondo gli inquirenti lo avrebbero convinto a convertirsi e a condividere una visione radicale. Ma si tratta di dati iniziali perché non è chiaro quanto fosse forte questo legame, uno spunto investigativo sufficiente però a inserire il nome del killer in diverse segnalazioni. Sapevano chi fosse, però non ne hanno valutato fino in fondo la pericolosità nonostante il suo carattere impulsivo.

Stava scontando una pena in carcere fino nel 2020, ed era al suo 24esimo permesso. Congedi che avrebbero dovuto favorirne un reinserimento nella società. Invece Herman non è mai cambiato. Qualche ora prima del raid nelle vie di Liegi ha colpito a morte con un martello un suo conoscente, Michael Wilmat, e avrebbe partecipato a una rapina. Quindi ha preso di mira le due donne-agente usando un pugnale, poi ha continuato nella sua scorreria fino ad essere eliminato dalle forze dell’ordine. Una tattica che ha fatto subito pensare ad un nuovo attentato.

Ora gli investigatori devono comprendere meglio le dinamiche. Può trattarsi di un esempio dove aspetti personali – odio verso la polizia, rabbia - si sono mescolati, in modo confuso, a ideologie estreme. La procura lo tratta come caso di terrorismo, ma lascia aperte anche ipotesi più sfumate. In altre parole Herman ha usato metodi simili a quello dello Stato Islamico ma non è detto che il suo gesto sia stato innescato dal movente politico (o solo da questo). Non sarebbe strano, è un tratto comune ad altri protagonisti di gesti violenti in Occidente. Al tempo stesso è noto e storico il rapporto tra terrorismo e criminali comuni. E le prigioni sono un incubatore, una palestra e un centro di reclutamento. Una tendenza consolidata che richiama gli anni di piombo italiani (con le BR) e in seguito l’epoca di al Qaeda. Oggi ci sono centinaia di prigionieri dall'Olanda all'Italia che richiamano le caratteristiche di Benjamin, persone che camminano su un sentiero stretto tra due «mondi»: quello della criminalità tradizionale e la bolla jihadista.

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