26 novembre 2018 - 13:24

Il decreto sicurezza e tutti i rischi di un’occasione persa

La questione dei rifugiati è di rilevanza globale, e riguarda tutti i Paesi. Gestirla in maniera consona al diritto internazionale non è solamente giusto ma anche nell’interesse degli Stati.

di Filippo Grandi*

Il decreto sicurezza e tutti i rischi di un’occasione persa
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Caro direttore,
il dibattito in corso sul cosiddetto «Decreto sicurezza e immigrazione» solleva problemi di grande importanza. Prima che l’iter legislativo si concluda alla Camera nei prossimi giorni, vorrei condividere alcune riflessioni.

La questione dei rifugiati è di rilevanza globale, e riguarda tutti i Paesi. Gestirla in maniera consona al diritto internazionale non è solamente giusto ma anche nell’interesse degli Stati. Tra i compiti principali dell’Unhcr, quello di ricordare a tutti i governi che le legislazioni nazionali non devono contraddire lo spirito e la lettera delle norme internazionali, ed è in questo ruolo che offro degli spunti di riflessione. Parto dal titolo: assimilare sicurezza e immigrazione in un unico decreto non mi pare né utile, né giusto. Favorisce una percezione della migrazione e dei movimenti di rifugiati come minacce alla sicurezza pubblica. Questo è profondamente fuorviante, specialmente nel caso dei rifugiati, che sono persone che fuggono da persecuzioni e violenza. Semmai è proprio la mancanza di adeguate vie legali per i richiedenti asilo uno dei principali motivi per cui sono costretti a utilizzare modi irregolari e rischiosi per raggiungere l’Europa. Attraversare un confine per cercare asilo non è un atto criminale. A questo proposito iniziative importanti come quelle dei corridoi umanitari e delle evacuazioni di persone a rischio (soprattutto dalla Libia) vanno appoggiate e intensificate.

Ci sono poi alcuni aspetti tecnici del decreto che ci preoccupano. Lo abbiamo segnalato al governo durante la preparazione del testo e tengo ora a spiegare le ragioni della nostra inquietudine.

In primo luogo, le misure disposte dal decreto in materia di detenzione amministrativa in attesa di identificazione o di espulsione, come anche quelle relative alle procedure di frontiera accelerate e a eventuali ricorsi, non offrono garanzie adeguate, specialmente per le persone più vulnerabili come i minori non accompagnati.

È preoccupante l’applicazione molto limitata di casi speciali di permesso di soggiorno in sostituzione della protezione umanitaria, uno strumento che negli ultimi anni si è rivelato utile sia per gli Stati che per i richiedenti asilo, dato il suo carattere temporaneo e la possibilità che offre di garantire assistenza a persone vulnerabili ma non soggette a protezione internazionale. Questo vale, ad esempio, per molti di coloro che arrivano via mare dalla Libia e che hanno subito abusi e violazioni indicibili.

L’Italia ha svolto un ruolo cruciale nel salvare vite umane in mare attraverso la Guardia costiera e le Ong, e nel mantenere un sistema di accoglienza che negli anni è stato reso via via più solido e funzionale, nonostante la mancanza di un meccanismo europeo rapido ed efficace di condivisione di responsabilità. È importante mantenere — e anzi, rafforzare — i risultati acquisiti. I rifugiati portano con loro esperienza, talento, capacità e coraggio. Bisogna che l’accoglienza dia loro spazio e li valorizzi, per facilitarne l’integrazione. Indebolire o eliminare il sistema Sprar è una decisione che rischia di avere un impatto negativo, anche perché è nelle grandi strutture — promosse dal decreto — che si sono riscontrati i casi più gravi di cattiva gestione, di sfruttamento o di coinvolgimento in attività illegali di richiedenti asilo.

Oggi siamo in una fase meno acuta, ma non meno complessa, degli sbarchi sulle coste italiane. Nei primi dieci mesi del 2016 sono arrivate 167 mila persone; nello stesso periodo, nel 2017, furono 114 mila. Quest’anno ci sono stati circa 22 mila arrivi. Ciò offre un’occasione preziosa per migliorare la gestione dei flussi, delle domande d’asilo e della situazione di chi già si trova in Italia, in modi efficaci e allo stesso tempo rispettosi delle norme internazionali e della dignità. Rinnovo anche l’invito a riflettere sul modo in cui si parla di immigrazione e rifugiati. L’assenza di una reale emergenza consente oggi di lasciare spazio a un confronto più pacato, umano e razionale, mettendo da parte gli eccessi che distorcono e demonizzano, e che impediscono alla politica di assumere responsabilità concrete e di trovare reali vie d’uscita — in Italia e in Europa — a problemi complessi ma gestibili. Senza questo dialogo — e a meno che non si voglia perpetuare artificialmente la nozione di una perenne emergenza per raccogliere facili consensi — non contribuiremo a soluzioni concrete e giuste per milioni di persone in fuga da guerra e violenza, e per le comunità che continuano ad accoglierle con ammirevole generosità.

*Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati

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