13 ottobre 2018 - 20:57

Brasile, svastiche sulla pelle e insulti Aggrediti gli oppositori di Bolsonaro

Nel mirino anche i reporter. Il candidato di destra: «Non c’entro, io accoltellato»

di Rocco Cotroneo

Brasile, svastiche sulla pelle e insulti Aggrediti gli oppositori di Bolsonaro
shadow

«Io non c’entro niente con i violenti, anzi non voglio nemmeno il loro voto. Qui chi si è preso una coltellata nella pancia sono io». Jair Bolsonaro ora getta acqua sul fuoco, non posa più da pistolero, dimentica di aver esaltato pistole libere e tortura, anzi si dichiara lui la vittima principale dell’odio. Seduto sul 46 per cento dei voti dei brasiliani e prossimo alla vittoria al ballottaggio (il 28 ottobre), il Capitano si chiama fuori da qual che purtroppo sta diventando evidente in Brasile, nella campagna elettorale più dura e polarizzata della storia: un’ondata di aggressioni contro la parte avversa, quasi tutte contro i simpatizzanti della sinistra.

Le denunce fioccano da tutto il Paese. La più tragica da Salvador de Bahia. La notte del primo turno in un bar del centro è stato ucciso con dodici coltellate un noto maestro di capoeira, Romualdo Rosário da Costa, conosciuto come «Moa do Katende», simpatizzante di sinistra. L’aggressione è avvenuta dopo un diverbio con un uomo ubriaco, subito arrestato, che si dichiarava elettore di Bolsonaro. Moa era anche un buon musicista, autore di «Badaué», canzone incisa da Caetano Veloso nel 1979. Ha poi suscitato scalpore il caso di una ragazza di 19 anni di Porto Alegre, alla quale hanno tracciato sulla pelle della schiena una svastica con un cacciavite, dopo averla immobilizzata. Sostiene di essere stata aggredita da tre uomini solo perché aveva in spalla uno zainetto con il simbolo arcobaleno del movimento gay e la frase «Ele não», lui no, il motto anti Bolsonaro. Sono almeno una ventina in tutto il Brasile i casi di aggressione, fisica o verbale, contro gli avversari del Capitano. In tv la campagna elettorale del rivale Fernando Haddad mostra le storie, ammonendo che la democrazia è in pericolo.

Qualche giorno prima del voto aveva suscitato indignazione una foto. Due fan di Bolsonaro che strappano una finta targa stradale dedicata a Marielle Franco, l’attivista nera uccisa lo scorso marzo a Rio de Janeiro e i cui killer non sono stati ancora scoperti. «Basta con l’anarchia nelle città», hanno spiegato i due, sostenendo che la targa veniva usata per coprire quelle vere. Poi si è venuto a sapere che uno degli autori del gesto è l’avvocato carioca Rodrigo Amorim, primo degli eletti alla Camera di Rio con oltre 100 mila preferenze. In un discorso dopo il voto, Bolsonaro ha detto che il suo governo «farà piazza pulita di tutti gli attivisti».

Nel mirino ci sono anche i giornalisti. Alla prima conferenza stampa dopo il primo turno, una reporter della Folha de São Paulo ha dovuto attendere che finissero i fischi a lei indirizzati prima di poter formulare la domanda. Lo schieramento dell’ex militare si ritiene vittima dei grandi gruppi editoriali e delle tv. E ovviamente anche della stampa straniera, che non ha praticamente accesso al suo staff di campagna. Secondo la Abraji, associazione brasiliana di giornalismo investigativo, sono 137 gli «attacchi» a reporter dall’inizio della campagna, molti verbali, ma 62 apertamente fisici.

Ma il grosso della campagna di odio si svolge in Brasile sui social. Secondo uno studio della Fgv-Dapp, su sei milioni di post violenti scritti durante la campagna elettorale, 1,8 milioni sono contro i nordestini, gli abitanti della regione più povera del Brasile; 1,4 di appoggio al nazismo o al fascismo; 1 milione contro le donne, altrettanti contro le minoranze di genere, i comunisti e i neri.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
ALTRE NOTIZIE SU CORRIERE.IT