7 settembre 2018 - 09:59

Siria, scambio di accuse tra Usa e Russia sui raid chimici a Idlib

Al via oggi a Teheran il vertice trilaterale tra Iran, Russia e Turchia proprio per decidere il destino dell’ultima roccaforte dell’opposizione siriana. L’inviato Usa: «Molte prove che Assad vuole usare i gas». Mosca: «Assad ha diritto a riprendere il controllo del Paese»

di Marta Serafini

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Sono «molte le prove» sul fatto che il regime siriano stia preparando armi chimiche nella provincia settentrionale di Idlib, ultima roccaforte dell’opposizione siriana. Lo ha detto l’inviato Usa in Siria, Jim Jeffrey, secondo quanto riporta Reuters. «Ogni offensiva è per noi detestabile in quanto un’irresponsabile escalation», ha dichiarato Jeffrey che è stato scelto il mese scorso dal capo della diplomazia Usa, Mike Pompeo, come inviato in Siria. Gli Usa hanno ammonito sia il presidente siriano Bashar al-Assad e sia il Cremlino contro un possibile attacco chimico a Idlib. Mosca ha lanciato una serie di raid aerei su Idlib martedì scorso insieme all’artiglieria di Assad uccidendo almeno 17 civili, compresi 5 bimbi. Nei mesi scorsi sono state colpite con attacchi chimici molte zone controllate dall’opposizione, tra queste Douma dove il 7 aprile sono morte 100 persone.

Alle parole dell’inviato Usa ha replicato il presidente russo Vladimir Putin che durante l’apertura del vertice trilaterale Russia-Iran-Turchia ha ribadito come a Idlib i «terroristi starebbero preparando provocazioni anche con l’uso di armi chimiche» e come «Assad abbia diritto a riprendersi il controllo del paese compresa la regione di Idlib». Mosca ha anche fatto sapere di star cercando una strada per «limitare al massimo le vittime civili». Posizione condivisa anche dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan che ha chiesto di «evitare un’ondata di rifugiati da Idlib». Fermo sulle sue posizioni anche il presidente iraniano Rohani che ha ribadito come la presenza iraniana in Siria «sia legittima, perché si basa sulla richiesta del governo siriano ed è volta alla lotta al terrorismo». Rohani ha poi confermato che l’Iran non ritirerà le proprie truppe dalla Siria e ha accusato gli Usa di «complicare l’instaurarsi di una pace duratura» con la loro presenza nel Paese. «Qualsiasi decisione sul futuro della Siria deve essere decisa solo dai siriani», ha poi tenuto a sottolineare, rassicurando che l’offensiva per liberare «non deve danneggiare i civili».

La tensione dunque non scende, con uno scambio di accuse reciproche. L’incontro tra il presidente iraniano Hassan Rouhani e i suoi omologhi Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan precede di poche ore la riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, convocata dagli Stati Uniti per discutere dell’annunciata offensiva di Damasco sulla provincia. Secondo la televisione di Stato iraniana Irib e secondo quanto comunicato dalla presidenza russa e turca, i tre leader hanno in programma anche diversi «incontri bilaterali», a margine del vertice. I leader dei tre Paesi si sono già incontrati in questo formato nel novembre 2017 a Sochi e nell’aprile 2018 ad Ankara. L’agenzia statale iraniana Irna nota che i tre presidenti, garanti del «processo di Astana» per la Siria, si ritrovano oggi tutti e tre colpiti dalle sanzioni degli Stati Uniti, elemento che probabilmente ha contribuito ad un maggiore avvicinamento delle loro posizioni, anche sulla Siria.

Il governo siriano sta approntando insieme alla Russia un’offensiva su larga scala contro la provincia settentrionale di Idlib, che trova al momento l’opposizione della Turchia, secondo cui tale operazione sarebbe «disastrosa», un’opinione condivisa anche dal segretario generale dell’Onu Antonio Guterres. Francia, Regno Unito e Stati Uniti hanno avvertito Damasco che risponderanno militarmente a eventuali attacchi chimici condotti dal regime nell’area. La Russia ha fatto sapere di avere le prove del tentativo dei «terroristi» di condurre attacchi chimici in Siria, per dare un pretesto ai Paesi occidentali di intervenire contro le truppe di Damasco. Il segretario alla Difesa statunitense Jim Mattis ha invece smentito Mosca, dicendo che non c’è «assolutamente alcuna prova» che suggerisca tali preparativi. L’inviato speciale in Siria del segretario generale delle Nazioni Unite, Staffan de Mistura, ha fatto sapere che il regime ha concesso fino al 10 settembre alla diplomazia, dopo di che sferrerà l’attacco. Martedì, dopo 22 giorni di sosta, sono ripresi i raid russi, in particolare sui distretti occidentali di Idlib: Jisr al-Shughour e Ariha.

Nel mentre i raid aerei russi hanno ripreso a colpire obiettivi mirati di jihadisti e ribelli in diverse zone di Idlib.Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, diversi bombardamenti hanno colpito le zone meridionali di Idlib, rompendo una pausa dei raid durato una notte. Circa tre milioni di persone vivono nella provincia di Idlib. Attivisti presenti nella zona, contattati dal Corriere, hanno confermato gli attacchi e hanno sottolineato come la popolazione tema un raid chimico. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, almeno 180 famiglie, circa 1.000 persone, hanno già abbandonato alcuni villaggi nel sud est della provincia, che si trovano vicino al territorio controllato da Damasco, dirigendosi verso le zone ribelli della vicina provincia di Aleppo. Resta però chiuso il confine con la Turchia.

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